Sottotitolo: gli orologi che vorrei, parte 1 – Augusto Veroni. Iniziamo qui una nuova vetrina dedicata ai nostri orologi da sogno, cioè agli orologi che noi della redazione del Giornale degli Orologi vorremmo avere. Quelli che ci piacerebbero tanto, se solo potessimo permetterceli. Che per noi sono irraggiungibili, ma che potrebbero essere un suggerimento per quei fortunati che invece possono permetterseli davvero. Un elenco di 10 esemplari 10 da condividere con voi. Anche perché sognare non costa niente…
Sono sempre stato un uomo dai robusti appetiti onirici. Uno che quando sogna, sogna che nemmeno te lo sogni, insomma. E non mi fa male – almeno non più di tanto – sognare e dovermi svegliare in una realtà totalmente diversa.
Sono ben consapevole che sognare – e sognare orologi, in particolare – è solo un volo della mente, un esercizio di fantasia che ti prende per mano il cervello e lo lancia in pensieri liberi. Sarebbe però sbagliato pensare che si tratti di puro cazzeggio e me ne sono reso conto pochi giorni fa. Quando Daniela Fagnola, il Direttore del Giornale degli Orologi, mi ha tentato con una proposta alla quale non si poteva dire di no. Fare un personale, personalissimo elenco dei nostri orologi da sogno, ma non come fosse un gioco. Spiegando perché certi orologi sono così radicati nei nostri sogni.
Non è stato facile perché la sadica ha preteso di limitare a 10 il numero dei nostri orologi da sogno. E per giunta alcuni ce li siamo litigati perché fanno parte di un immaginario comune. E – altra condizione – dovevamo entrambi limitarci ai veri orologi da sogno, ma così da sogno che te li sogni. Perché confesso che fra i miei orologi da sogno ci sono anche realizzazioni dal prezzo piuttosto umano. Ma dal momento che non ho lo spirito del collezionista, mi limito a sognare anche quelli. Ciò premesso cominciamo questo percorso dolorosamente breve.
I primi tre sono quattro
Qualcuno ormai lo sa: François-Paul Journe è da sempre un mio mito. Brontolone al limite dell’incazzoso, è uno che non accetta compromessi ed è persino capace di trattare male certi clienti ricchi, ma un po’ scemi, che desiderano i suoi orologi solo perché fa figo. Giuro: l’ho visto mandarli a comprare un – e non dico la marca. Con l’aggiunta di: “Così risparmi e fai comunque il figo”.
François-Paul “Brontolo” Journe è l’anello di congiunzione fra il passato, il presente e il futuro dell’orologeria. Come Michel Parmigiani viene dal restauro. Il che vuol dire sapere non solo come si fa un buon orologio, ma come fare un orologio destinato a durare nel tempo. Ha saputo anche mettere in piedi una organizzazione commerciale efficiente, senza mai cedere alla tentazione di spingere l’acceleratore sulla produzione. Lui fa quel che gli è possibile fare senza nulla cedere in termini di qualità. Se riesce a trovare collaboratori in grado di seguirlo, allora aumenta il numero dei suoi orologi. Altrimenti vive bene anche facendone di meno. Il mercato gli sta dando ragione e dopo oltre vent’anni di lavoro i collezionisti lo stanno premiando. I collezionisti veri, intendo.
Io mi accontento del suo Automatique Calibre 1300.3, prodotto in 99 esemplari. Ma solo perché il suo Cronometro a Risonanza mi sembra troppo persino per i miei sogni. Approfitto dell’occasione per chiedergli se non gli avanzasse un quadrante, anche fallato, da regalarmi…
Poi (sullo stesso piano: non è una classifica, lo ripeto, solo un elenco) c’è il Calatrava di Patek Philippe. Tutti e due: il carica manuale, che l’anno prossimo compie 90 anni (e mi sciolgo per quello con la cassa in oro bianco) e l’automatico in oro giallo. Anche se potrei fare il cambio: oro giallo per il manuale e oro bianco con quadrante nero per l’automatico. Oppure oro rosa per il manuale e oro giallo per l’automatico. Oh, beh, comunque andrebbe bene.
È il primo orologio che abbia mai sognato davvero, sbalordito da quella che per me è la perfezione estetica. Poi ho scoperto che lo è anche sul piano tecnico. E so già che il cuore mi sanguinerà per qualunque cosa Thierry Stern s’inventerà per celebrare il novantesimo anniversario.
A questo punto comincio a far qualche passo nel delirio. Richard Mille Les Voiles de Saint Barth, crono. Mi piace perché è folle come tutti gli orologi di Richard Mille, ma al tempo stesso ha una cassa circolare che mitiga un poco la mia quasi diffidenza nei confronti degli orologi “di forma”. Quasi tutti. E poi il mio passato di marinaio sente con chiarezza che questo Mille è uno dei pochi orologi pensati per chi ha davvero il piede marino. Non vi dico gli altri perché il Direttore me lo ha vietato.
Tre sportivi, fra sogno, tecnica ed estetica
Beh, pur se amo molto i subacquei di Blancpain, devo dire che ogni volta vedo dal vivo il cronografo flyback Air Command resto a bocca aperta. Mi piace innanzitutto il movimento, un cronografo davvero ben fatto e coerente con il suo prezzo. Mi piace per le finiture che sono da manuale delle finiture.
Non ho ancora capito se preferisco la classica versione in nero (quel materiale luminescente vintage ha il suo bel fascino) o quella blu, che alla fine, però, mi sembra la più adatta ai miei personali gusti. Perché il blu è un colore un po’ più difficile di quanto non si creda e questo – specialmente dal vivo – è il blu che mi fa tanto mare di Santa Maria di Leuca, anche se l’Air Command è concepito per gli aviatori e non è affatto impermeabile. Sì, forse alla fine prima di svegliarmi sogno proprio l’Air Command blu.
Per poi buttarmi fra le braccia di un orologio recente: il Parmigiani Fleurier Tonda PF. È il primo frutto della collaborazione fra Michel Parmigiani e Guido Terreni, che ha esordito “pulendo la lavagna” da quasi ogni precedente con un orologio zen. La semplicità, il minimo che però diventa il massimo. Nella sua villetta di Fleurier lo stesso Michel Parmigiani ha una parte dello spazio allestita a giardino zen. Essenzialità espressiva. Il Tonda PF è un ideale, in grado di popolare sogni e realtà quotidiana.
I segni ridotti al minimo ti lasciano ammirare il pattern inciso a guilloché, la sua eleganza moderna ti fa capire che non avresti bisogno di null’altro. Il suo sottile movimento con micro-rotore (in platino) di carica è un capolavoro di complessa (160 componenti montati su 29 rubini) semplicità: solo ore, minuti e datario. Una raffinatezza, però, sportiva: grazie all’impermeabilità fino a 10 atmosfere e al bracciale d’acciaio te lo porti anche al mare, se vuoi. Un mare da sogno, ovviamente.
E poi l’Omega “eretico”: il superleggero Aqua Terra con cassa in alluminuro di titanio. “Eretico” perché costa un botto e in tanti accusano Omega di aver esagerato. Io so che non ostante i quasi 50mila euro necessari per passare dal sogno alla realtà anche questo Omega in realtà ha un prezzo concorrenziale. Non sembra, lo capisco, ma so che è così. Perché l’alluminuro di titanio non è una lega normale, ma quella che viene impiegata per fare le turbine dei motori per i jet. Di solito viene lavorata in fusione, ma in questo caso deve essere trattata come qualunque altro tipo di titanio per ottenere ponti e platina.
Il superleggero Aqua Terra viene prodotto da un reparto di artigiani che lavora nell’industria Omega. È lo stesso reparto artigianale che produceva una volta il tourbillon centrale con ponte a forma di Omega e che in seguito ha prodotto alcune serie limitate molto apprezzate dai collezionisti. Di fatto, quindi, è un orologio artigianale pur se non prodotto in serie limitata e all’interno di una delle maggiori industrie dell’orologeria svizzera. Se raffrontato ai prezzi di un orologio artigianale della stessa ricercatezza, il prezzo – purtroppo – va considerato più che concorrenziale.
Last but not least, il quartetto di chiusura dei miei orologi da sogno
Il Code 11.59 by Audemars Piguet. Quello con movimento scheletrato, tourbillon e cassa in oro bianco con parte mediana in oro rosa. So che non è piaciuto a molti, esattamente com’era avvenuto per il Royal Oak, oggi in cima ai desideri. Io l’ho amato dal primo momento per la sua tonnellata di dettagli qualificanti, ma non sbandierati come a dire “guardami son qui”.
Un orologio splendidamente realizzato e splendidamente componibile, al punto che già ora è possibile realizzare esemplari come questo, con “prezzo su richiesta” che vuol dire prezzo molto, molto elevato. L’unica cosa che non mi piace, di questo orologio, è il nome, benché persino io possa capire il senso di quel “minuto prima di mezzanotte”. Potrò sembrare pazzo, ma fra un Royal Oak e un Code 11.59 di base non avrei esitazione a scegliere il secondo, riservando ai sogni questa versione semplicemente spettacolare da tutti i punti di vista tecnici.
Quindi c’è una delle più belle invenzioni di Maximilian Busser & Friends. La Legacy Machine 101 è l’orologio in cui la meccanica apparecchia uno spettacolo eccezionale: bilanciere e scappamento in primo piano, a farsi ammirare, e due quadrantini in smalto per ore e minuti (uno) e secondi (l’altro). Il tutto spicca su un quadrante colorato (a me piace quello che vedete in foto) che esalta la tridimensionalità dell’orologio, dall’impossibile vetro a cupola.
Una vera opera d’arte, l’incontro fra l’orologeria tradizionale e quella del futuro, in cui la meccanica – appunto – è spettacolare. Concepito con quel genio dell’orologeria di Kari Voutilainen, finlandese di nascita e svizzero di crescita, è forse il miglior esempio in assoluto di come – in assoluta, apparente semplicità – la grande orologeria sia una forma d’arte.
Infine due nuove entrate, due orologi recenti destinati a far scuola. Per ora concludono il mio personale elenco di orologi da sogno, ma so già che presto se ne aggiungeranno tanti altri.
Partiamo dal Greubel Forsey Balancier S², recentissimo. Appena presentato. Amo questa versione in grigio, anche se ne è disponibile una vestita di nero. Anche in questo caso la tecnica è stata piegata dall’arte: bariletto, treno del tempo e indicazione dell’autonomia, bilanciere e scappamento, direttamente collegati ai secondi, su un piano inclinato. Mi piace il nuovo corso impresso alla marca da Antonio Calce, da circa un anno Ceo del marchio. In un solo anno il tecnicismo quasi barocco dei precedenti modelli si è stemperato in uno stile più rigoroso, essenziale.
Eppure l’orologio è di fatto una complessa scultura in cui non solo la cassa si piega per seguire verticalmente la forma del polso, ma si curva anche in senso trasversale per consentire la massima libertà di movimenti non ostante le ampie dimensioni. Il tutto utilizzando il titanio, scolpito in una cassa (per giunta a costruzione modulare) che deve essere stata un autentico incubo per chi l’ha realizzata. Fantastico orologio da sogno, ricco di soluzioni che faranno scuola
.
Come farà scuola Chopard con l’Alpine Eagle Cadence 8HF. 250 esemplari. Certo, mi piace – e molto – la rivisitazione estetica della cassa, mi piace lo splendido bracciale che definirei “allo stato dell’arte”…
Ma mi inchino rispettosamente di fronte al movimento meccanico a carica automatica, funzionante a 57.600 alternanze/ora. Bilanciere a tre bracci, 210 componenti, cassa e bracciale in acciaio, autonomia di 60 ore, prezzo ampiamente inferiore ai 20.000 euro. È un gran bel sognare, almeno per me. I “maschili” di Chopard sono roba maledettamente seria sotto ogni punto di vista. E poi ci sarebbe tanto ancora…