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Il calibro 29-50 Cinque Ponti. Il made in Italy torna in orologeria

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«Ne siamo orgogliosi. E ci teniamo molto a far parte con Locman del progetto Oisa», mi raccontava Marco Mantovani durante un’intervista uscita poi sul Rapporto Orologi del Sole 24 Ore del 23 novembre scorso. «Ma l’obiettivo è quello di mettere questo movimento made in Italy di alta gamma al servizio di tutto il settore». Beh, sarebbe fantastico, pensavo fra me e me. Per farlo però bisogna industrializzarlo: avere le risorse tecniche ed economiche per produrlo su ampia scala e fare in modo che sia competitivo almeno con i movimenti svizzeri. Solo così il calibro 29-50 Cinque Ponti potrà essere una risorsa per l’intera orologeria.

Erano i primi di novembre. Pochi giorni dopo, quasi in risposta alle mie perplessità, un comunicato stampa di Locman annunciava l’inizio di una nuova fase per il progetto Oisa. La creazione di un polo industriale dedicato proprio alla produzione del calibro 29-50 Cinque Ponti con annessi sviluppi. Per essere più precisi, la sede di Oisa 1937, ad Albuzzano (in provincia di Pavia), ampliata di 500 metri quadri. Uno spazio allestito appositamente per raggiungere un obiettivo ambizioso: produrre 10mila unità all’anno entro il 2025. Tempi stretti di chi ha le idee chiare e un programma ben definito.

Gli esordi

Rewind. Credo sia opportuno fare un breve riassunto delle puntate precedenti, per quanti non capiscano a cosa mi riferisco. Un anno fa, una cordata di imprenditori presenta un nuovo movimento meccanico, ideato e realizzato in Italia, con l’intento dichiarato di rilanciare l’orologeria made in Italy. Il gruppo è composto da Marco Mantovani di Locman, Carlo Boggio Ferraris di Oisa 1937 e Benedetto Perrotta di Officina Meccanica Futura. Partner finanziari, Andrea Morante e Daniela Berizzi Roux. Direttore tecnico Fausto Berizzi. Per saperne di più su di loro vi rimando a quanto scritto in quell’occasione da Augusto Veroni.

Il movimento in questione è il calibro 29-50 Cinque Ponti, basato su un progetto anni ’60 del nonno di Ferraris, Domenico Morezzi, maître horloger e fondatore nel 1937 a Milano di Oisa (Orologeria Italiana Società Azionaria). Quel calibro originario ultrapiatto è stato quindi opportunamente riprogettato nella meccanica, riaggiornato nei materiali e rivisitato nell’estetica. E oggi è un bel movimento a carica manuale di 13 linee, che misura appunto 29,50 mm di diametro per 3,5 mm di spessore, montato su 19 rubini e con 60 ore di autonomia.

Il calibro 29-50 Cinque Ponti va a equipaggiare in primis il Locman Montecristo e l’Oisa Extra in edizione limitata, poi piccole serie millesimate per collezionisti. Come quella per i 70 anni di Editalia realizzata da Tellus in collaborazione la Zecca dello Stato, con Una Lira del 1946 in oro incastonata sul quadrante. Del resto fin dall’inizio la produzione programmata per questo 2022, secondo quanto dichiarato dalla stessa Oisa, si aggirava attorno ai mille movimenti. Poi, a partire dal 2023, era previsto uno sviluppo graduale per arrivare a numeri decisamente più importanti. Che sono proprio quelli dichiarati di recente.

Il calibro 29-50 sulla via dell’industrializzazione

Con l’acquisizione di quei 500 metri quadri all’interno della manifattura ad Albuzzano – sede dell’Officina Meccanica Futura di Benedetto Perrotta, socio e Amministratore unico di Oisa 1937 -, i progetti a breve scadenza sembrano possibili. Lo spazio è sufficiente per ospitare nuove macchine a controllo numerico e manodopera specializzata così da aumentare la produzione. E poter avere a disposizione del mercato quantità sufficienti del calibro 29-50 Cinque Ponti e delle sue elaborazioni meccaniche. Da parte sua, del resto, il movimento è nato per la personalizzazione, sia nei materiali sia nelle finiture. Platina e ponti possono essere realizzati in ottone, ma anche in oro, titanio o alpacca; possono essere decorati con incisioni, rilievi, smalti di vario tipo o colorati con trattamenti Pvd.

Non solo. Il calibro 29-50 è stato concepito come movimento di base da declinare in quattro versioni: a Cinque Ponti, oppure a Ponte Unico, con Doppio Bariletto e Riserva di Carica, e ovviamente a Carica Automatica. «L’obiettivo a lungo termine è di arrivare a produrre una gam­ma di movimenti meccanici che non solo siano simbolo del made in Italy e della sua tradizione orologiera, ma che garanti­scano anche un alto livello di qualità, precisione e affidabilità», conferma Mantovani. E le sue parole trovano un’eco nei commenti di Fausto Berizzi: «L’obiettivo era quello di arrivare a un movimento perfetto che integra diversi punti fondamentali. Come il bilanciere senza racchetta, le viti antiallentamento e l’Incablock dimensionata appositamente per il bilanciere. Tutti elementi che offrono la garanzia di un movimento performante, bello e affidabile».

Risorge l’orologeria italiana?

«Con Oisa 1937 vogliamo ripercorrere la strada del maestro Morezzi. Un genio italiano, che è riuscito a creare straordinari calibri», aggiunge Mantovani. «Calibri che oggi vogliamo mettere a disposizione di tutti i brand interessati a movimenti meccanici di alta gamma. Oltre a Locman, altre importanti aziende italiane ed internazionali stanno acquistando i movimenti Oisa per dare qualità e prestigio ai propri orologi. Questo è il vero obiettivo del progetto ed è per noi motivo di grande soddisfazione». Del resto, come raccontava nel suo articolo Veroni, il sogno di un movimento meccanico italiano gli appartiene da tanti anni. Ed è ormai diventato una realtà. L’importante ora è poterlo industrializzare, così da ricollocare il nostro prodotto di qualità, simbolo del made in Italy, almeno a livello europeo. Sarebbe davvero l’avvio della tanto agognata rinascita dell’orologeria italiana.

Non a caso, il Ceo di Locman per tutto l’anno si è fatto promotore di una serie di dibattiti – nelle fiere di settore, da VicenzaOro al Woi, e in altre occasioni – proprio sul tema della storia dell’orologeria italiana. «Che ha radici molto antiche. Alcune tra le prime testimonianze documentali le offre Dante Alighieri nel Paradiso, in cui paragona i ruotismi degli orologi meccanici all’armonia dei movimenti delle anime beate. Per non parlare di orologiai famosi come Brunelleschi o Leonardo e del contributo straordinario di Galileo, inventore dell’isocronismo del pendolo», conclude Mantovani. «Dunque la ben nota passione degli italiani per l’orologeria analogica è un valore culturale e ancestrale che ha sempre animato imprenditori e collezionisti. Quest’arte sublime si è evoluta in un’imponente filiera produttiva molto spesso al servizio delle marche svizzere. Crediamo sia venuto il momento di sottolineare il valore dell’Italia anche in questo settore».