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Dietro le quinte (4): i negozi di orologi. Come cambia la rete commerciale

Il rischio degli acquisti all’estero, i tagli alla rete di distribuzione, ma anche le nuove opportunità. I negozi di orologi e gioielli vivono in un mondo in trasformazione…

In Italia ci sono sempre stati molti negozi di orologi e gioielli. In rapporto alla popolazione molti di più di quanti ce ne siano in altri Paesi. Un po’ è una nostra tradizione, vero, che si innesta su quella del “mio amico negoziante che mi fa sconti speciali” da raccontare a mogli e amici.

E poi c’è – smettiamola di fare le verginelle – un’altra tradizione, quella dei soldi in nero. Riguarda solo marginalmente, molto marginalmente l’orologeria: persino gli orologi finti da fotografare per giornali e riviste pagano tasse per entrare dalla Svizzera e per rientrare in Svizzera. Figuriamoci gli altri. Non si muovono dalla nazione elvetica senza chiari “documenti d’identità”.

Non è un caso se la Federazione dell’Industria Svizzera fonda le proprie statistiche settoriali sugli orologi esportati. Che comunque non sono il 100% di quelli prodotti: dalla Svizzera non esce nulla che non sia ben verificabile come originale, anche per evitare di dover onorare garanzie mai emesse. Ma l’oreficeria e la gioielleria – una volta – erano tutt’altra cosa.

Una volta si ironizzava sul fatto che un buon negoziante doveva avere tre casseforti: una per i gioielli fatturati e assicurati; una per il nero “da rapina” (i rapinatori sapevano benissimo che c’era merce “oscura” e la pretendevano); e una terza per il nero da nascondere anche ai rapinatori. La situazione – oggi – è molto cambiata. E lo si comprende del fatto che anche la maggior parte dell’oreficeria e della gioielleria è “firmata” da una marca e quindi soggetta a controlli fiscali difficilmente evitabili.

Ma questo ravvedimento non è che abbia fatto benissimo al mercato: se il negoziante fa meno nero, non ne fa invece meno una serie quasi infinita di figure almeno parzialmente sconosciute al fisco. Che tendono a comprare con soldi, appunto, non dichiarati. Il risultato? Molti italiani con contanti oscuri comprano all’estero. Certo non è la stessa cosa del “negoziante di fiducia” e complica la vita: avere soldi all’estero, nascondere scatole e garanzie, intervenire in caso di problemi. Ma finire nel mirino della Finanza per loro è peggio.

Consentitemi una digressione strettamente personale da non intendere come moralistica. Certe volte ho l’impressione che noi italiani siamo pronti, dopo aver odiato essere italiani, dopo aver odiato esser europei, ad uscire da questo gioco perverso. Dateci un sistema di tassazione sensato e vi solleveremo non solo il mondo, ma anche il nostro Stato e il mercato interno. Molti italiani si sono stancati di vivere da evasori o presunti tali, aspettando condoni e soggiacendo