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H. Moser & Cie: l’arte della sottrazione. Anche luminosa

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Se qualcuno mi costringesse a dare una definizione degli orologi prodotti da H. Moser & Cie parlerei di “arte concettuale”, ma con un certo ritegno. Potrei anche scomodare il minimalismo Bauhaus, ma trovo vi siano altri riferimenti più congeniali. L’arte della sottrazione tipica di Eric Clapton, ad esempio. Quella sì che mi sembra più vicina a Moser. Nel primo assolo di “Old Love” la chitarra di Clapton tiene a lungo, molto a lungo una sola nota, tirata fino a farla diventare un grido di dolore. Una sola nota esprime un sentimento forte e complesso. Allo stesso modo gli orologi di H. Moser & Cie procedono per sottrazione. Una sottrazione solo apparente perché un Moser “complicato” resta sempre tale. Ma tutto quel che fa scena, tutto quel che deve stupire come un’opera barocca, beh, tutto quello viene nascosto – solitamente sul fondello.

Il mio primo approccio con H. Moser & Cie non è stato dei migliori, lo confesso. La colpa? Aver messo in primo piano i miei gusti personali, come fanno stupidamente molti, troppi appassionati d’orologeria. “A me non piace e quindi non va bene”, come se il mondo fosse imperniato su di noi. In particolare non mi piaceva – e ancora non mi piace, sebbene sia frutto di una lavorazione pregiata – il quadrante detto fumé, il cui colore sfuma (appunto) in nero nella parte periferica. H. Moser & Cie è stato il primo marchio a farne una cifra stilistica e ha avuto ragione, a giudicare dalla quantità di marchi che ha “ispirato” e che poi ne hanno seguito le orme. Io ho avuto torto a considerarlo un elemento di giudizio. E ammettere di avere torto non fa male, credetemi.

Ben diverso è il minimalismo quasi zen tipico di H. Moser & Cie, diventato anch’esso una cifra stilistica e spinto fino ad eliminare, sulla maggior parte degli orologi, persino il proprio nome, il proprio logo. Attenti però a non confondere la purezza con la freddezza: faranno pure rima, ma qui la faccenda è ben diversa. Tanto è vero che i designer di Moser giocano astutamente con la possibilità di usare il minimalismo come un’arma per mettere in mostra altri elementi, come il materiale stesso del quadrante. Mi viene in mente uno splendido orologio in cui le “stelle” del quadrante in avventurina vengono usate come tappeto puro per le fasi di luna: la logica dell’estetica. Altrettanto vale, ora, per l’incredibile Vantablack®, il materiale più scuro mai creato. Il cui uso ha sì una cifra estetica, ma all’interno di un discorso logico, coerente, consequenziale.

Parliamo del Vantablack®. È un rivestimento di nanotubi di carbonio posti verticalmente. Il marchio appartiene alla Surrey NanoSystems che ne consente o ne nega l’uso. Il Vantablack (Vertically Aligned NanoTube Arrays, “schiere di nanotubi allineati verticalmente”) nasce come rivestimento per le parti interne dei telescopi ed altri apparecchi ottici nei quali è meglio eliminare il pur minimo riflesso interno. Il Vantablack riesce infatti ad assorbire (in determinate condizioni, trasformandolo in calore) il 99,965% delle radiazioni dello spettro visibile di luce. Viene ottenuto mediante un processo di deposizione fisica da vapore a 400°, concettualmente simile a quel Pvd che l’orologeria usa ampiamente per colorare la cassa degli orologi.

In tempi recenti il Vantablack è stato anche trasformato in vernice spray, con risultati nuovi, come una Bmw esternamente ricoperta di Vantablack. E quindi è stato al centro di un caso mediatico costruito attorno a Anish Kapoor, l’artista anglo-indiano che ne ha comprato i diritti per l’utilizzo in esclusiva (in ambito artistico). La notizia riguardava il suo Cloud Gate: un’opera enorme installata nel Millenium Park di Chicago, tutta in acciaio lucidissimo (soprannominata “il fagiolo” per via della forma), la cui superfice curva e riflettente deforma la realtà intorno a sé. Bene: si diceva che Anish Kapoor aveva verniciato il suo Cloud Gate di Vantablack, realizzando un vero e proprio buco nero nel centro di Chicago. Poi però si è scoperto che si trattava di una bufala, un pesce d’aprile inventato da una rivista d’arte un po’ burlona. 

Il primo tentativo di usare il Vantablack per il quadrante di un orologio l’ha fatto Panerai qualche anno fa, ma voler conservare logo e indici ha comportato problemi di non facile soluzione. Nel caso di H. Moser & Cie la cosa è stata molto più coerente con il materiale: tre modelli disponibili online. Alla base c’è il Venturer Vantablack® Black Hands con cassa in oro bianco (39 mm di diametro) e movimento meccanico a carica manuale. Segue il Venturer Vantablack® Black Hands XL con cassa in acciaio (43 mm di diametro) e lo stesso movimento di manifattura, meccanico a carica manuale. E infine l’Endeavour Tourbillon Vantablack® Black Hands, cassa in acciaio con rivestimento Dlc nero (42 mm di diametro) e movimento meccanico a carica automatica con tourbillon volante.

Tutti e tre impressionanti. Il tourbillon perché sbuca magicamente da un buco nero, da una dimensione siderale che sembra quasi un gioco di prestigio sensoriale. Gli altri due per quelle lancette nere che (non lasciatevi ingannare dalla staticità delle foto) spiccano in maniera incredibile sul nero assoluto del quadrante. Benché nere, infatti, le lancette riflettono molta più luce di quanto non faccia il Vantablack®. L’effetto, anche qui, è totalmente nuovo e molto difficile da descrivere. Per dare almeno un’idea, provate ad immaginare lancette bianche su uno sfondo grigio: la leggibilità è sorprendentemente buona.

Da quanto mi sono fermato sull’effetto buco nero sembrerebbe trattarsi di un orologio che sfrutta un gioco di prestigio visivo, un trucco o poco più.A parte il fatto che con il Vantablack® spray si aprono possibilità notevoli per avere un quadrante “nero ma nero davvero”, in realtà – come sempre accade con Moser – in primo piano c’è comunque una tecnica da spettacolo. Perché H. Moser & Cie, rispetto ad altre marche rare, ha un vantaggio in più. Come abbiamo già detto, Moser condivide la sede con la controllata Precision Engineering Ag, produttrice di organi regolatori e singole componenti.

Ovviamente la produzione non è destinata solo alla rarefatta produzione di Moser, ma va ad altre marche consentendo a tutti di tenere sotto controllo sia la qualità che i costi di produzione. È l’economia di scala, bellezza, e funziona maledettamente bene se c’è un buon cervello a gestirla. E che ci sia un buon cervello lo prova il fatto che la Precision Engineering Ag è in grado di produrre veri e propri moduli, in teoria inseribili in qualunque movimento sia disegnato per accoglierli. Moduli composti sia da un organo regolatore “semplice”, sia dotato di doppia spirale con curva Straubmann (un vero e proprio marchio di fabbrica ben riconoscibile), per realizzazioni del massimo pregio.

Nel caso dei tre modelli presi in esame, due montano un movimento meccanico a carica manuale, il calibro Hmc 327. Che, confesso, mi intriga molto per via della sua “lenta” frequenza di funzionamento: 18.000 alternanze/ora. Una vera rarità. È vero che solitamente ad un bilanciere più veloce corrisponde maggior precisione, ma ormai la tecnologia ha fatto passi avanti sufficienti per consentire ai produttori di scegliere la “velocità”  senza, di fatto, alcuna controindicazione. Torneremo sull’argomento. Per il calibro HMC 804 del tourbillon, invece, le scelte sono totalmente diverse: ricarica automatica (la massa oscillante ricarica in entrambe le direzioni di moto) e frequenza di 21.600 alternanze/ora. In entrambi i casi l’autonomia complessiva è di circa tre giorni, più che sufficienti a trascorrere un fine settimana di pigrizia senza che la marcia dell’orologio abbia a risentirne.

Vogliamo parlare dei prezzi? Stiamo parlando di una marca a produzione molto limitata e per giunta – nel caso del tourbillon – di un’edizione limitata a 50 esemplari. Servono 22.900 euro per l’XL in acciaio, 23.800 per quella con cassa in oro bianco e 65.800 per il tourbillon. Tutt’e tre le varianti possono essere acquistate anche sul sito di H. Moser & Cie che, ancora una volta, si conferma come marchio stravagante: di solito l’alta orologeria rifugge dal web come il diavolo dall’acqua santa. I prezzi – a ben vedere – sono vivacemente concorrenziali nella propria categoria di appartenenza.

E lo sarebbero persino senza il quadrante Vantablack® che, credetemi, è uno degli spettacoli più affascinanti che si possano immaginare. Vi auguro sinceramente di poterne vedere uno “dal vivo”. Ne vale la pena, credetemi. E non mi fate sentire storie sul genere, “ma tanto sembra uno degli all black tanto in voga”. Sarebbe un’affermazione banale, che confermerebbe quanto sia superficiale emettere una qualunque forma di giudizio basandosi solo su una foto. Sia pure quelle pubblicate da noi. Ed è per questo che non mi stancherò mai di ripetere che la cosa migliore è sempre leggere quel che scriviamo, ma poi andare a verificare con i propri occhi.