Attualità

Ancora sui prezzi. Il mercato globale e altri orizzonti

Accidenti a voi! O almeno a quanti sanno perfettamente che di fronte a domande e considerazioni garbate io non resisto. E quindi torno a parlare dei prezzi degli orologi: sono giustificati o no?
Dopodiché vi avviso (e forse questo articolo vi aiuterà a comprenderlo) che non penso sia il gioco domanda e risposta il sistema più adatto per comprendere le infinite varianti dei prezzi. E così dopo questo articolo Il Giornale degli Orologi cercherà di inserire alcune spiegazioni – sempre sui prezzi – in ciascun lavoro, inserendolo in contesti specifici. Un percorso più logico. Continuate a leggerci, continuate a farci belle domande intelligenti e garbate e man mano avrete le risposte. Noi siamo qui per voi.

Finiture e decorazioni

SB ha fatto alcune osservazioni che hanno aperto una buona discussione tra i lettori e che meritano alcune precisazioni. In particolare SB considera che secondo lui un movimento di manifattura “non dovrebbe costare più di 500 euro. Anche perché le decorazioni su ponti e platine non sono fatte a mano. Discorso diverso per tourbillon, ripetizione e tirature limitate”.

Secondo me una Ferrari non dovrebbe costare più di una Ford Mustang ed entrambe non dovrebbero costare più del doppio di una 500; secondo me Ronaldo dovrebbe costare meno di un buon medico, secondo me tutto costa troppo. Magari c’è un complotto mondiale per tenere alti i prezzi. Scherzo, ma il concetto è questo. Tutto quel che non possiamo permetterci, tutto quel che ha un prezzo troppo alto per le nostre tasche dovrebbe costare di meno. E la decorazione non è che uno dei tanti elementi che influiscono sui prezzi degli orologi, non certo quello più determinante.

A parte la quantità di esemplari prodotti, su cui si spalmano i prezzi – e SB considera, almeno in parte, questo aspetto – va comunque detto che le decorazioni in realtà non sono mai state fatte “a mano”. Perché non ci sarebbe alcuna costanza qualitativa nella misura desiderata dall’orologeria. Esattamente come per le viti si usa un utensile, anche per le decorazioni si usano spazzole gestite a mano, ma con una fonte di energia che rende costante l’effetto. E questo non da oggi. Al contrario, gli utensili “industriali” sono una delle ragioni per cui l’orologeria svizzera ha vinto il duello con altre nazioni: costanza di qualità.

Produzione industriale

Secondo alcuni tecnici più anziani, inoltre, la necessità di queste finiture nasce proprio dai limiti della produzione industriale delle componenti. La decorazione, con le sue pur minime asperità, serviva infatti a catturare eventuali sfridi di lavorazione misti a olio. I grandi orologiai del passato (e i loro orologi da tasca e quindi i movimenti di grandi dimensioni) non avevano bisogno di troppe decorazioni, ma la costanza qualitativa delle loro lavorazioni artigianali era relativa. Spendevi un occhio della testa e non sempre ti andava bene.

C’è anche da tener presente che man mano i movimenti migliorano, diminuiscono le tolleranze e ciò rende più difficile eseguire un movimento di manifattura della massima qualità. In altri casi, infatti, si riesce comunque a contenere i costi con una progettazione concepita per cercare il miglior rapporto fra qualità e prezzo in relazione al prezzo finale dell’orologio. Una cosa è un movimento di manifattura d’alta orologeria e altra cosa è un movimento sempre di manifattura, ma che deve sottostare ad altre regole di mercato.

Manutenzione

SB, poi, sollecitato da buone osservazioni di TF, ricorda che da giovane si dilettava nel riparare i propri orologi. E parla delle leghe di cui sono fatte le molle di carica, secondo lui fonte di gran parte dei problemi di costanza di marcia (è verissimo) e troppo costose. Gli faccio notare che una volta gli orologi erano ben diversi e fare da sé qualche riparazione poteva avere un senso, pur se criticabile. Oggi non è più possibile. La manutenzione costa cara perché il cliente vuole – a ragione – che l’orologio venga ripristinato quasi come nuovo.

In più, proprio per la criticità della conservazione e cessione nel tempo dell’energia, oggi vengono usate leghe tecnologicamente molto avanzate. Sempre con alcune differenze fra marchi, ovviamente. Una fabbrica d’orologi utilizza ogni anno una quantità minima di queste leghe che, fra ricerca e produzione in piccola scala, costano quindi moltissimo sia per la fase di fusione che di produzione delle molle. Per non parlare poi di quelle in silicio, realizzate con tecniche solitamente utilizzate per la ben maggiore quantità di dispositivi elettronici (si parla di un rapporto talvolta di 100.000 a 1).

Leghe e materiali

Abbiamo già scritto (qui) del costo dei lubrificanti, essenziali per l’orologeria e di qualità eccezionalmente elevata rispetto ai lubrificanti normali impiegati altrove. L’intera orologeria svizzera usa, ogni anno, una trentina di litri per ciascun tipo di lubrificante necessario. Questi lubrificanti, per giunta, si ossidano con una velocità proporzionale alla loro qualità e vanno quindi applicati in condizioni di laboratorio molto particolari. E sono costi molto elevati per lo studio, la realizzazione e la gestione. Che per altro implica la quasi impossibilità di riparazioni a basso costo.

Nel tentativo di aumentare la qualità a costi relativamente contenuti è quasi sempre indispensabile ottenere questi materiali avanzati da chi ne fa ben altro uso. Omega, ad esempio, ha realizzato una cassa nello stesso alluminuro di titanio impiegato per le turbine dei motori Boeing. Chissà come è riuscita ad averne qualche chilo, sufficiente per realizzare una certa quantità di casse. Mica tante. Ma se avesse dovuto chiedere di produrre solo per sé quella lega, i costi sarebbero impossibili.

Un altro produttore specializzato nello scovare e ottenere materiali straordinari è Richard Mille, che usa la propria conoscenza nel mondo dell’automobilismo sportivo e in altri campi ad alta tecnologia. Anche in questo caso parliamo di materiali che nessuno produrrebbe in piccole quantità se non a prezzi folli.

Prezzi e leggi di mercato

A proposito: RF considera folli i prezzi degli orologi attuali: “Nel 1968 un Omega Speedmaster lo vendevamo a lire 90.000… Sono 45 euro. Ora vedete voi il prezzo!”
Parliamo di oltre cinquant’anni fa. Rapportando i prezzi al potere d’acquisto e ad una serie di altri parametri scopriamo che è vero: comunque sia i prezzi sono effettivamente aumentati. Ma in cinquant’anni è cambiato tutto, anche il mondo dell’orologeria. Cinquant’anni fa nessuno pensava che la Cina potesse assorbire, da sola, una enorme percentuale della produzione svizzera di orologi. Oggi è il primo mercato mondiale e i prezzi li fa lei. La legge del mercato. Domanda e offerta, come ricorda un altro lettore, MRP.

È comunque vero che i prezzi sono molto aumentati soprattutto negli ultimi dieci anni, ma anche la qualità. Il fatto stesso che la garanzia sia spesso passata da 2 a 5 anni la dice lunga, su questo aspetto. La produzione non è diminuita, in generale, al contrario. Ma quest’anno molte fabbriche hanno chiuso per mesi a causa dal Covid. Ciò vuol dire che la produzione è diminuita, in media, di un buon 25 per cento rispetto all’anno precedente. E questo sì che potrebbe avere ulteriori effetti sui prezzi, pur se la questione sarebbe in realtà molto più complessa.

È vero, come dice MRP, che è una questione di domanda e offerta, ma non bisogna dimenticare che, se si esagera, gli orologi semplicemente non vengono più comprati. E che ci sarà sempre una forte concorrenza fra marchi appartenenti a ciascuna fascia di prezzo. Ma i prezzi di base sono sempre proporzionali – in qualunque settore – a quanto il mercato più potente è in grado di pagare. Una volta erano i mercati occidentali, il riferimento. Oggi sono quelli orientali.

Fiere e negozianti

C’è una qualche speranza che i prezzi diminuiscano? Onestamente, non credo proprio. Negli ultimi anni, non ostante la produzione di orologi fosse aumentata grazie al proliferare di nuove fabbriche, si trattava di numeri che non erano comunque in grado di soddisfare le richieste dei mercati mondiali. Poi il Covid ha fatto il resto, causando una diminuzione di circa il 25 per cento rispetto alla situazione precedente. E la situazione, almeno nell’immediato, non sembra destinata a migliorare, non ostante marchi come Audemars Piguet e Tudor/Kenissi stiano aprendo nuovi stabilimenti – visti come “una boccata d’ossigeno” dalle autorità di Le Locle.

L’unica speranza sono i negozianti. Sono loro che possono decidere di comprare o non comprare un determinato modello. O di comprarne lo stretto indispensabile in relazione al prezzo dell’orologio e alla tipologia dei propri clienti. Era il ruolo delle fiere. Ho visto mille volte i prezzi diminuire, prima della fine della fiera, perché un determinato modello aveva successo. Si aumentava la produzione in base alle richieste, questo consentiva di ammortizzare meglio le spese, abbassare i prezzi per essere più concorrenziali e il gioco era fatto.

Oggi la pandemia rende questo itinerario più difficile, ma è ancora un dato di fatto che di fronte alla diffidenza dei negozianti il produttore alla fine deve cedere. Talvolta. E comunque ricordando che a “fare i prezzi”, oggi, sono i mercati orientali. Nell’orologeria come in molti, moltissimi altri settori.