Dopo i tentativi iniziali del 2010 esce il primo smartwatch. Made by Samsung, scatta foto e prende appuntamenti
Nel secondo decennio del 2000 arriva il web 3.0. Così, dopo l’internet 2.0 dei social è l’ora dello Iot (Internet of things), l’internet degli oggetti. Una rivoluzione hi-tech destinata a pervadere, assieme alla nuvola informatica del Cloud computing, ogni aspetto della vita quotidiana. Il mondo degli orologi elettronici non poteva rimanere indenne a questi mutamenti, così all’Ifa di Berlino nel settembre 2013, Samsung presenta il primo smartwatch.
Orologio con fotocamera alla James Bond
Galaxy Gear il nome scelto dal colosso coreano, da subito in vendita a 299 euro in 140 paesi del mondo, Italia inclusa. Come giornalista l’ho provato tra i primi. Ecco le impressioni. Cassa in acciaio minimal con display a colori da 1,6 pollici Super Amoled. Chiara lettura dei messaggi in arrivo e scorrimento del testo come in un normale touch screen. Progettato per vivere in simbiosi col telefonino, grazie all’app, scambiava dati e notifiche via Bluetooth. Scopro subito che il microfono vivavoce lo hanno posizionato sulla clip di chiusura, basta appoggiare il polso vicino all’orecchio. Operazione un po’ goffa e complessa da compiere in ambienti rumorosi.
A stupirmi però è la micro-fotocamera da 1,9 Megapixel sul cinturino. Un gadget che trasformava il Galaxy Gear in action camera alla James Bond, per scattare foto e registrare video fino a 15 secondi. Funzionava anche da telecomando per selezionare brani musicali. Il tutto gestito dal sistema Tizen, proprietario Samsung. Nel 2014 l’azienda coreana mette in vendita il rettangolare Fear Fit, con misuratore di passi e pulsazioni cardiache. Due modelli degni precursori di una lunga serie di smartwatch, migliorati in autonomia e funzioni d’uso. Fino all’odierno Watch 3.
Lo smartwatch come personal trainer da polso
Nello stesso periodo Fitbit, neonata startup californiana, ha l’intuizione che lo smartwatch possa andare oltre all’estensione del telefonino. Nascono quindi i primi modelli fitness. Merito dell’accelerometro: un sensore in grado di rilevare gli spostamenti, dunque contare passi e movimenti di chi lo indossa. Tra i primi a vedere la luce Fitbit One: un tracker non da polso, bensì da portare tramite clip su calzoni e indumenti.
Seguono i primi Flex e Charge da mettere al polso con cinturino plastico. Fino all’avvento nel 2015 di Pure Pulse, lo smartwatch che apre la strada dei dispositivi per la salute. Quella serie felice di orologi health in grado di misurare le pulsazioni e la qualità notturna del sonno. Modelli prodotti fino allo scorso autunno, in piena pandemia, con Fitbit Sense. Ed ecco che, dopo il personal trainer, arriva il “medico digitale da polso” capace di tenere sotto controllo attività cardiaca e saturazione del sangue. Come Huawei Watch Fit, con ben 10 giorni di autonomia.
La guerra del software
A questo punto la sorte degli smartwatch si sposta sulla scelta del sistema operativo da mettere a bordo. È Google a fiutare il business dei dispositivi indossabili: e nel 2014 lancia Android Wear, seguito negli anni da Wear Os. Allora produttori come Motorola e la stessa Samsung, trovando pronto il “motore”, si lanciano su design e “carrozzeria”.
Seguono finalmente i grandi dell’orologeria. Che non possono perdere il treno digitale e mettono sul mercato i loro primi esemplari connessi. La tendenza è trasversale: escono allo scoperto marchi famosi come Tag Heuer, Hublot, Montblanc, Louis Vuitton, Fossil, Emporio Armani, Hugo Boss e numerosi altri. Per ora, fra tutti questi attori, manca la “Mela morsicata” di Cupertino. Ma non ci siamo dimenticati di Apple: ne parleremo diffusamente nella prossima puntata.
Nella prossima uscita: scende in campo l’Apple Watch