Attualità

Chanel Electro: un viaggio nel tempo, nei suoni e nei colori

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Il tipico nero dell’orologeria Chanel ravvivato da una gamma luminosa di colori al neon. Rosa shocking, verde fluo, azzurro elettrico, giallo laser… Sfumature acide, sature e brillanti reinterpretano i “classici” della casa e li rinnovano completamente. È la caspule collection Chanel Electro, che prende nome e ispirazione dal fenomeno musicale di moda negli anni Novanta.

Il background

In quell’epoca si afferma infatti la musica elettronica in senso lato, prodotta con sintetizzatori o drum machine, campionamenti, loop di sequenze, ritmi ossessivi e voci metalliche. Declinata in innumerevoli generi – dall’house alla techno – e miriadi di sottogeneri – dall’electro, appunto, al French touch -, trascende però il mero ambito sonoro per diventare un’espressione artistica a 360°. Una forma di cultura in cui convergono le notti dei rave party e i video dei Daft Punk, gli anime giapponesi e la narrativa cyberpunk, i film con gli androidi e i videogiochi un po’ fantasy un po’ sci-fi.

Si stava allora affermando un nuovo immaginario a metà fra tecnologia e fantascienza, influenzato dalla rivoluzione informatica accessibile a un pubblico sempre più vasto. «Un universo estetico radicale ed eccentrico, riflesso della vita notturna e dell’atmosfera in cui si è sviluppato», ha confermato in una recente intervista il Direttore dello Studio de Création Chanel Horlogerie, Arnaud Chastaingt. Che ha preso spunto proprio da qui per creare la mini-collezione Chanel Electro, in vendita da pochi giorni online e nelle boutique della casa.

Il boost del lancio di Chanel Electro

Ma non si tratta di “un’operazione nostalgia” dettata da ragioni anagrafiche del creativo; piuttosto di un’attenta sensibilità verso i trend del momento. Perché quel tipo di musica elettronica è più vivo e vitale che mai. Poco importa dell’epilogo “con botto” dei Daft Punk; un membro del loro team, Gildas Loaëc, ha fondato per esempio Maison Kitsuné, marchio di moda e lifestyle franco-nipponico, nonché label discografica che rappresenta musicisti come La Roux, Two Door Cinema Club o Digitalism. Ovvero l’élite di una nuova generazione di artisti che sta dominando le scene della musica contemporanea internazionale.

Da parte sua, invece, la maison della doppia C ha potenziato il lancio degli orologi Chanel Electro con un’omonima playlist. Una colonna sonora composta dalla Ed Banger Records, l’etichetta parigina fondata dal dj e produttore Pedro Winter (aka Busy P.) nel 2003, tuttora promotrice dei maggiori artisti del genere. Una raccolta di brani attualissimi – firmati dallo stesso Busy P., da Boston Bun e Gaspard Augé, tra gli altri – che si possono ascoltare in streaming su Spotify, Apple Music e sulle principali piattaforme musicali asiatiche.

Formata da cinque modelli e trasversale alle altre collezioni della Maison, Chanel Electro è una storia a sé, un unicum dalla precisa connotazione cromatica. «Il confronto tra nero e colore è al centro di questa storia. Il colore illumina il nero, la profondità del nero sottolinea il colore. L’unione è radicale e il contrasto è grafico», spiega ancora Chastaingt. «Ritmato dalla danza delle lancette, “Le Temps Chanel” vibra al suono della musica electro. Per questa collezione, J12, Première, Code Coco e Boy·Friend vengono svelati in un’atmosfera grafica, vibrante, ipnotica».

J12 Electro

Nero ma con un tocco arcobaleno. L’orologio più iconico di Chanel come non si era mai visto: interamente in ceramica ad alta resistenza (come sempre), ma con i numeri sul quadrante e gli indici sulla lunetta in gradazione cromatica; tonalità in successione circolare e continua, che va dal rosso al viola, passando per il giallo, il verde, il blu. Dodici sfumature che scandiscono le ore e il trascorrere del tempo.

Due le versioni: con la cassa di 33 o di 38 mm di diametro. Ciascuna realizzata in un’edizione limitata di 1.255 esemplari. Mentre il modello più piccolo è animato da un movimento al quarzo, quello più grande monta il Calibro 12.1, sul quale ci siamo già ampiamente soffermati altrove. Qui basti ricordate le caratteristiche essenziali: meccanico a carica automatica, di manifattura, con autonomia di 70 ore e certificato ufficiale di cronometro rilasciato dal Cosc.

Première Electro & Première Electro Box

L’orologio storico della Maison (uscito nel lontano 1987) in passato ha già conosciuto alcuni “arrangiamenti musicali”, rock e pop. Ora ritorna con un total look nero e un cinturino a triplo giro, in cui la catena (che ricorda la celeberrima 2.55) s’intreccia con un laccio in technicolor. Anche in questo caso il passaggio cromatico è in dégradé e copre l’intera superficie della lunga, lunghissima e sottile striscia di pelle morbida. Il Première Electro è riprodotto in una serie limitata di 555 esemplari.

Non solo. Lo stesso principio è rivisitato in chiave monocromatica, a comporre un ensemble ancora più esclusivo. Un “polittico grafico”, come lo definisce Arnaud, costituito da sette orologi, in cui ciascun Première adotta un cinturino a triplo giro di un determinato colore fluo: rosa, viola, blu, verde, giallo, arancione e rosso. L’arcobaleno creato dalla successione degli esemplari ne amplifica “l’effetto wow”. Attenzione però: il box è riservato solo a 5 fortunate.

Code Coco Electro e Boy·Friend Electro

Ma la capsule collection Chanel Electro non sarebbe completa senza il Code Coco e il Boy·Friend. In entrambi i casi il protagonista è il rosa shocking, che tinge il cinturino trapuntato in un violento contrasto con il nero dominante tutt’attorno.
Oltre alla diversa tiratura limitata (255 esemplari l’uno, 55 l’altro), i due modelli hanno un’altra sostanziale differenza. Mentre da un lato il colore trasforma in modo plateale il look dell’orologio, dall’altro è più discreto.

Nel Code Coco infatti il cinturino interamente in pelle fluo è profilato di vernice nera e cattura con audacia l’attenzione. Nel Boy·Friend invece la tonalità elettrica riveste solo l’interno del cinturino, e quando l’orologio è al polso si intravvede appena lungo il bordo. Sul quadrante spicca però l’effigie di un robot, realizzata con un pixel di diamanti. Un motivo che rimanda all’immaginario anni Novanta, all’arte digitale e alla fantasia elettronica popolata di cyborg e macchine antropomorfe.