Riprendiamo il discorso sugli orologi elettrici e sull’avvento degli elettronici. Come abbiamo visto nelle precedenti puntate, per oltre un decennio gli orologi hanno avuto la pila ma non il quarzo. Ora arriviamo alla nascita del primo movimento al quarzo realizzato in Svizzera: il celebre Beta 21, prodotto dal CEH, un “consorzio” cui partecipavano una ventina di grandi marche…
Le leggi della fisica recitano che la precisione aumenta all’aumentare della frequenza. La meccanica, pur portata al limite, al massimo è arrivata a 50 Hz con i cronometri sovietici in grado di misurare il centesimo di secondo. Molti orologi elettrici mutuano il bilanciere dai meccanici e in sostanza si limitano a sostituire la molla di carica con l’energia elettrica. Per questo non riescono ad andare oltre le poche oscillazioni al secondo. Fa eccezione l’Accutron, che arriva a 360 Hz.
Si capisce quindi perché il quarzo abbia sempre affascinato gli orologiai. Si tratta di una pietra che – opportunamente tagliata – può raggiungere le decine di migliaia di oscillazioni al secondo. Prima di arrivare al fatidico 1969, anno che stravolge l’orologeria, occorreranno però decenni di ricerche e di altre invenzioni.
Per farla breve possiamo partire dal 1927, quando nei laboratori della Bell Telephones viene creato il primo orologio al quarzo. «Di già?», potreste esclamare. Sì: solo che il quarzo ha le dimensioni di un bidone. Occorre iniziare a miniaturizzare e a contenere i consumi. Un altro passo fondamentale sarà l’invenzione, nel 1954, delle pile a bottone. Decenni di esperimenti – furono testate persino batterie fatte a banana per adattarsi allo spazio disponibile nelle casse – dimostrarono che ogni altra forma portava inevitabilmente alla perdita di acido molto prima dell’esaurirsi degli elettroni.
Il CEH
Arriviamo quindi al 1960, quando gli svizzeri si svegliano: Gérard Bauer, l’allora Presidente della Fédération de l’industrie horlogère suisse, di formazione diplomatico (era stato anche ambasciatore a Parigi), si convince che il progresso verso l’orologeria elettronica sia inevitabile. Soprattutto, afferma, «Americani e Giapponesi non ci chiederanno il permesso per progettare orologi elettronici».
Cerca dunque di convincere in tutti i modi i produttori svizzeri a finanziare per la prima volta nella storia la nascita di un laboratorio di ricerca comune. Quindi “ruba” alla General Electric Roger Wellinger, il quale a sua volta trova i primi 12 ingegneri capaci di impegnarsi nei nuovi studi.
Così, il 30 gennaio 1962 a Neuchâtel, nasce il CEH, Centre Eléctronique Horloger. Che ha come obiettivo quello di “creare un orologio da polso elettronico con almeno un vantaggio rispetto agli orologi esistenti”. Si decide di tenere segreti i risultati delle ricerche persino ai soci finanziatori, le principali case di orologeria, per evitare che qualcuna utilizzi i risultati prima delle altre.
Nel 1966 il CEH assume anche Max Hetzel, l’inventore degli Accutron: il quale nel 1963 aveva già lasciato Bulova e New York per entrare al Laboratoire Suisse de Recherche Horlogère (LSRH) di Neuchâtel.
Il progetto Alpha
Negli anni ‘60 si pensava che il diapason avesse ancora una lunga vita davanti a sé, e che il progetto originale dell’Accutron 214 avesse ampio spazio per miglioramenti. In particolare, il diapason dell’Accutron era simmetrico solo su un asse, per cui risentiva pesantemente della posizione spaziale. Se la precisione a parità di posizione era di ±2 secondi al giorno, lo scarto tra dritto e rovesciato era ±4,5 sec/giorno.
Per esplorare questo spazio viene avviato il progetto Alpha sotto la direzione di Heinz Waldburger, un matematico assunto dal CEH. Che concepisce un diapason simmetrico su due assi in modo da liberarsi dell’errore di posizione. Questo diapason ha forma di “8” schiacciato o, se preferite, di “H” con le gambe cave, ed è imperniato al centro. Nel 1964 il progetto è presentato alla commissione scientifica diretta da Pierre de Haller, che lo accoglie tiepidamente. Tutti sono infatti coscienti che la possibilità di infrangere brevetti Bulova è poco concreta.
Nonostante ciò, e nonostante la concorrenza interna degli altri progetti che sembrano promettere meglio, Alpha va avanti. Inaspettatamente, però, il 30 aprile 1966 Waldburger si dimette. Il progetto Alpha è allora affidato a un suo collaboratore, Kurt Wolff, che dovrà risolvere principalmente i problemi di trattamento termico del diapason e – tanto per cambiare – di tenuta stagna delle pile cilindriche specifiche per questo calibro. Wolff, però, viene improvvisamente a mancare il 13 giugno 1966. A questo punto la direzione del CEH recepisce i segnali inviati dal destino e chiude il progetto nel marzo 1968. Il progetto Alpha si rivela alla fine troppo conservatore rispetto agli altri e apporta solo marginali miglioramenti.
Hetzel e lo Swissonic
Nel frattempo Max Hetzel, che pur essendo entrato nel CEH fa un po’ azienda a sé, sta sviluppando un proprio progetto, il cui nome è Swissonic. Anche il suo scopo è migliorare il movimento al diapason e al contempo superare i suoi stessi brevetti, rimasti in mano a Bulova. Lui suggerisce, nel 1965, di trattare in ogni caso con la sua ex-azienda per vedere di ottenere una licenza. È convinto infatti che un orologio da polso al quarzo sia irrealizzabile per gli eccessivi consumi di tutti i componenti.
Questa tenace contrarietà personale trova sponda nella Direzione e nella commissione scientifica. D’altronde Hetzel è il Deus ex machina del diapason e l’unica persona all’interno del consorzio che sia riuscito a portare un progetto dal foglio bianco alla produzione industriale di massa, con oltre 5 milioni di esemplari prodotti.
Il primo prototipo vede un diapason sempre simmetrico su un solo asse, ma di una forma particolare pensata per ridurre l’errore posizionale. I bracci del diapason seguono il bordo del calibro e ospitano all’interno la pila. La frequenza iniziale è 480 Hz, ma l’idea è portarla a 720. Nel frattempo, con la solita abilità, Hetzel si occupa anche di allestire la linea di produzione per realizzare 5.000 prototipi in 3 anni con 3 milioni di franchi di budget.
Nel 1966 un prototipo viene portato al Concorso di cronometria dell’Osservatorio di Neuchâtel, dove prende un punteggio di 2,25. Lo scorno è che nello stesso anno partecipa anche un prototipo di ESA MoSaBa – il futuro calibro 9162, che prende 1,64 (i valori più piccoli sono migliori). Il segreto sta nel diapason simmetrico su due assi e con contrappesi, come nel progetto Alpha. L’anno successivo ESA fa ancora meglio con 0,93. Il problema principale dello Swissonic è che, così com’è, vìola ancora i brevetti Bulova. Si decide perciò di fermare anche questo progetto per concentrarsi su quello più promettente di tutti: il Beta.
Il Megasonic di Omega
Nel 1969 Max Hetzel si sposta alla Elresor SA, una sussidiaria di Omega, portandosi dietro il progetto, sul quale registra altri 4 brevetti. Lì ridisegna il movimento: per raggiungere i 720 Hz senza alzare i consumi si inventa un diapason asimmetrico, dove i due rebbi, a causa delle diverse dimensioni e masse, vibrano a due frequenze diverse pur avendo lo stesso consumo di un diapason simmetrico. In questo modo il braccio più leggero arriva ai 720 Hz richiesti.
Per oltrepassare definitivamente i brevetti Bulova, sul braccio più piccolo applica un micromotore (6×1,5 mm), che lui chiama “topo”. All’interno del quale, in un bagno d’olio, si trovano due indici, che scuotendosi fanno girare una minuscola ruota; la quale poi trasmette il moto per via magnetica alla prima ruota e da lì, sempre magneticamente, il moto raggiunge la seconda. È il calibro Megasonic, industrializzato come Omega 1220/1230 e venduto fino al 1975. Il canto del cigno dell’orologeria elettrica senza quarzo.
Il CEH e il progetto Beta
Torniamo ora al CEH: l’unico progetto rimasto è il Beta. Diretto da Max Forrer, era così segreto che neppure Hetzel era a conoscenza dei risultati notevoli che aveva raggiunto. Nell’ambito del Beta, ci si rende conto che occorre un chip integrato. Come sorgenti per la misurazione del tempo si valuta di tutto, persino di utilizzare il tempo di disintegrazione di un pezzo di plutonio! Fu studiata anche la possibilità di un orologio radiocontrollato, sulla frequenza dei 75 Hz. Quest’ultimo progetto fu fermato nel 1969 dopo 1000 prototipi, ma l’idea è poi stata realizzata davvero con i ricevitori DCF.
Alla fine si decide per il quarzo, tagliato in forma di barra in dimensioni tali da vibrare a 8.192 Hz. Ai tempi il quarzo si tagliava a mano, per cui le dimensioni erano ragguardevoli e la frequenza di vibrazione bassa, il che portava anche il vantaggio di non dover integrare troppi circuiti divisori, che consumavano molta energia. Si incontrano notevoli problemi nel tagliare il quarzo a mano e soprattutto nell’incapsularlo sottovuoto. All’epoca non c’erano macchine pensate per ricavare il vuoto in un contenitore così piccolo.
La forma di barra era anche molto facile alle rotture. La produzione del quarzo accumulerà un tale ritardo che si rivelerà fatale nella gara con Seiko. Il cristallo di quarzo doveva essere prodotto da Oscilloquartz, che però dedica pochi uomini e mezzi all’operazione, perdendo quei pochi mesi che faranno scivolare la presentazione all’anno successivo.
Dal momento che l’orologio avrebbe comunque avuto delle lancette, occorreva in ogni caso sviluppare un motore. I motori passo-passo tipo Lavet esistevano da anni, ma avevano consumi eccessivi. Il progetto Beta si sdoppia per studiare due soluzioni alternative: Beta 1 avrebbe utilizzato un motore passo-passo a 0,5 Hz (mezzo giro al secondo), mentre Beta 2 un risuonatore asimmetrico a 256 Hz. La battaglia la vince quest’ultimo perché consuma molto meno, ma la guerra sarà vinta dai motori passo-passo dopo che Seiko migliorò l’idea di Lavet, abbassando di molto i consumi e creando quel motore che a tutt’oggi muove miliardi di orologi al quarzo.
Gara tra prototipi del CEH
La decisione di non diffondere alcun dettaglio prima di avere prototipi funzionanti crea una certa ansia nelle varie maison socie e finanziatrici del CEH. E non si può loro dare del tutto torto: per 5 anni non esce assolutamente niente da un laboratorio con 24 ingegneri impiegati a tempo pieno. In realtà serpeggiava anche un sentimento ambiguo nella mente dei produttori: la nuova tecnologia avrebbe potuto danneggiare le vendite dei tradizionali orologi meccanici.
I sistemi Beta 1 e 2 sono infine presentati al CdA del CEH nell’agosto 1967, e nel dicembre è organizzato un seminario per i finanziatori. I due progetti erano stati tenuti così segreti che per le case di orologeria fu uno shock. Come dicevo, fu scelto il Beta 2 perché permetteva la durata di un anno della batteria.
Dieci Beta 2 furono portati in gara all’Osservatorio di Neuchâtel, prendendo i primi dieci posti con scarti di pochi decimi di secondo al giorno, surclassando i calibri di Seiko. Come aneddoto sulla precisione dei Beta si si racconta che Forrer, con un Beta 2 al polso facesse visita nel 1968 agli stabilimenti HP. All’ingresso c’era un secondario comandato da un orologio atomico, e tra questo e il suo Beta Forrer notò uno scarto di 3 secondi. Chiese se l’orologio atomico fosse preciso, suscitando una certa ironia, ma dopo un controllo venne fuori che l’orologio atomico era avanti di 2 secondi.
Il fatidico 1969
Ora che è stata definita la tecnologia, inizia la corsa per la presentazione. La gara è con i giapponesi di Seiko, i quali erano partiti con i loro studi già nel 1959 col progetto Epson 59A. Tutti sanno che la lotta è puramente una questione di prestigio, perché né gli svizzeri né i nipponici sono in grado di produrre in volumi i loro calibri al quarzo e oltretutto i costi sono proibitivi. In realtà in Europa si pensava che il quarzo sarebbe stato relegato all’alto di gamma. Nessuno in Occidente aveva sentore che in pochissimi anni avrebbe invaso ogni segmento di mercato, fino quasi a uccidere la produzione svizzera.
La gara comunque è vinta dai giapponesi. Il giorno di Natale 1969 a Tokyo presentano il loro Seiko Astron 35SQ. Mostrano i primi 100 pezzi, in oro massiccio, del costo di 450.000 yen: quanto un’automobile.
Gli svizzeri arrivano secondi. Come scrivevo prima, lo scivolone di Oscilloquartz nel realizzare i quarzi si è rivelato fatale. Alla fiera di Basilea del 5 maggio 1970 finalmente sono presentati i primi 1000 calibri, il cui nome commerciale è divenuto Beta 21, contrazione di Beta 2.1 che indicava ulteriori rifiniture al Beta 2.