È un orologio emblematico il Louis Vuitton Tambour Convergence, presentato il mese scorso alla LVMH Watch Week. Emblematico del livello di maturità e raffinatezza cui è arrivata l’orologeria della Casa, che con questo esemplare dimostra quali vette si possono toccare quando si conosce la grande Storia dell’orologeria e si è in grado di reinterpretarla a modo proprio. Quando si è abbastanza forti da fregarsene delle tendenze mainstream per seguire il proprio stile, da imporre il proprio gusto al di là delle mode. E si è talmente sicuri di sé da poter adottare un’estetica tutt’altro che popolare: élitaria, invece, perché parla di cultura, di conoscenze e savoir-faire…
La Fabrique du Temps Louis Vuitton
Il Louis Vuitton Tambour Convergence è emblematico anche di tutta la strada fatta dal Brand, da quando ha esordito nel settore, nel 2002, con il lancio del Tambour e l’apertura di un primo laboratorio di movimenti a La Chaux-de-Fonds. Da allora, una tappa essenziale in questo percorso di crescita è stata, nel 2011, l’acquisizione de La Fabrique du Temps, l’atelier di Enrico Barbasini e Michel Navase specializzato nella progettazione e fabbricazione di calibri e complicazioni. Fondata a Ginevra nel 2007, La Fabrique du Temps ha collaborato con Louis Vuitton fin dall’uscita del primo Spin Time, nel 2010. E ha sempre avuto un peso notevole nello sviluppo dell’orologeria del Marchio: basti pensare agli esemplari con ripetizione minuti, con tourbillon e Punzone di Ginevra prodotti in questi anni, per capire a cosa mi riferisco.
E arrivo finalmente al Tambour Convergence, in cui del resto La Fabrique du Temps Louis Vuitton ha giocato di nuovo un ruolo in primo piano. Anche perché oggi riunisce sotto lo stesso tetto tutte le competenze – di design, ingegneria e artigianato – necessarie per fabbricare la maggior parte dei componenti degli orologi LV. A Meyrin, nello stabilimento inaugurato nel 2014, si trovano infatti La Fabrique des Boîtiers, La Fabrique des Mouvements, La Fabrique des Cadrans e La Fabrique des Arts. (Non credo ci sia bisogno di spiegazioni, tranne per quest’ultima, dedicata ai mestieri rari). Tutte insieme hanno collaborato nella creazione del nuovo esemplare, che è il punto d’incontro delle loro attività, la sintesi dei loro know-how. Da qui il termine convergence, convergenza, appunto.
Le antiche montre à guichet
Il Louis Vuitton Tambour Convergence colpisce per l’aspetto insolito, perché è privo di lancette e mostra le informazioni orarie in due apposite finestrelle. In realtà è l’erede di una lunga tradizione: quella delle montre à guichet. Abbiate pazienza, è necessario sorbirsi ancora qualche pillola di storia. Guichet in francese vuol dire proprio finestrella: la piccola apertura – spesso più d’una – presente sul quadrante per visualizzare diverse informazioni. La più semplice e frequente è la data, ma vi si possono leggere anche il giorno della settimana, oppure il mese, le fasi di luna, le ore saltanti, l’autonomia residua.
Se le prime finestrelle appaiono già negli esemplari da tasca nel XVIII secolo, gli orologi con affissione numerica, o digitale come diremmo oggi, conoscono un certo successo attorno al 1830 con l’affermarsi delle ore saltanti. Ma sono in gran voga soprattutto negli anni Venti e Trenta del Novecento, soprattutto sul mercato americano. Allora, quadrante e lancette lasciano il posto a una piastra in metallo in cui sono praticate due aperture: all’interno delle quali compaiono le cifre delle ore e quelle dei minuti, riportate su dischi rotanti. In genere il primo disco è azionato da un dispositivo a scatto (le ore saltanti, appunto), il secondo da un meccanismo a trascinamento continuo.
I precedenti storici
Il primo orologio da polso à guichet sembra essere un Audemars Piguet del 1921: un modello dall’estetica lineare e rigorosa, con cassa rettangolare ispirata all’architettura modernista. Ma i più celebri sono sicuramente i Cartier Tank à Guichets, apparsi sul finire del decennio, dalla costruzione tipicamente Art Déco, con varie forme e posizioni delle finestrelle e della corona di carica. Al quel punto, l’aspetto sobrio e funzionale rifletteva le difficoltà economiche provocate dalla Crisi del 1929 e dalla successiva, obbligata austerità. Tant’è che la Maison parigina limita la brillantezza dell’oro con lavorazioni spazzolate e finiture opache, o ricorre al platino, in apparenza meno prezioso.
Questo sistema “numerico” di lettura dell’ora in realtà prefigura quello che sarà poi adottato negli anni Settanta, dopo l’avvento dei movimenti al quarzo. Altro periodo in cui l’affissione à guichet prolifera: e si riscontra in esemplari massicci, dalle geometrie 3D vagamente futuristici. Poi la moda ritorna negli anni Novanta, con le ore saltanti di Patek Philippe o dei Mickey Mouse di Gerald Génta. Mentre al giorno d’oggi i pezzi a tema sono rari. Mi vengono in mente solo gli esemplari realizzati da Ludovic Ballouard a partire dal 2010 circa, o in tempi più recenti l’IWC Hommage à Pallweber del 2018. Ma si tratta sempre di ore saltanti e di finestrelle affisse sul quadrante.
Il Louis Vuitton Tambour Convergence, l’orologio à guichet 4.0
Il Louis Vuitton Tambour Convergence invece è un’altra cosa. Sì, recupera la tradizione delle finestrelle tagliate nel metallo della piastra, l’assenza dei consueti quadrante-lancette-vetro. Ma è privo di ore saltanti: entrambi i dischi rotanti di ore e minuti sono “a trascinamento”, quindi mostrano il tempo attraverso una rotazione continua. Poi ha una forma rotonda, la tipica cassa del Tambour riveduta e corretta nelle proporzioni così da risultare più piatta, più sottile. Ed è declinato in due versioni, ambedue studiate per risultare preziose e di grande effetto scenico. La prima è in oro rosa, con la cover – concedetemi questo termine forse inappropriato – lucidata a mano, praticamente a specchio. La seconda invece in platino, completamente tempestata di diamanti serti neige.
Riguardo alla meccanica, si tratta del calibro LFT MA01.01, che fa la sua comparsa in questa occasione ma ha tutte le carte in regola per diventare un cavallo di battaglia nella produzione di Louis Vuitton. Che non a caso lo definisce “una pietra miliare, a dimostrazione della forza della produzione e della competenza ingegneristica nel segmento orologiero della Maison”. A leggere fra le righe, potrebbe voler dire che questo movimento automatico sarà prodotto in grandi numeri. Non solo. Oltre a essere utilizzato come solo tempo, è abbastanza sottile da poter servire come base su cui montare eventuali moduli per varie complicazioni. Anche senza aver bisogno di una molla del bariletto maggiorata (che comunque potrebbe essere auspicabile, a vantaggio della regolarità di marcia soprattutto con funzioni energivore).
Cosa ne penso
Per conoscere le caratteristiche tecniche vi rimando alle didascalie. Qui concludo come sempre con il prezzo al pubblico e con un paio di considerazioni personali. Il Louis Vuitton Tambour Convergence costa 37.500 euro nella versione in oro rosa, 68.500 in quella in platino. Prezzi “importanti”, è vero, ma l’alta orologeria non è per tutti, per definizione. Chi se lo può permettere magari potrà anche farsi personalizzare il proprio esemplare. Per com’è fatto – con la parte superiore della cassa che si pone come una “tela bianca” – l’orologio si presta infatti a essere modificato a piacere, magari con piccole incisioni o una diversa incastonatura con gemme di colore. Ciò che conta, a parer mio, è rispettarne l’essenza. E avere la consapevolezza di possedere uno degli orologi eleganti più riusciti degli ultimi anni.