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Chanel, l’orologeria, il mercato: il punto di vista di Frédéric Grangié

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Il 13 maggio scorso, Chanel ha organizzato a Milano un evento dedicato all’alta orologeria, nel quale ha coinvolto la stampa di settore. Per l’occasione, noi giornalisti abbiamo incontrato, in una tavola rotonda, il Presidente di Chanel Watches & Fine Jewelry, Frédéric Grangié, e il Direttore dello Studio de Création Horlogerie Arnaud Chastaingt.

Mentre la chiacchierata con quest’ultimo ha toccato punti relativi alla creazione del nuovo J12 Bleu, Grangié ha offerto numerosi spunti e valutazioni sulla situazione del mercato, sull’ecosistema dell’orologeria svizzera e sul ruolo di Chanel nella valorizzazione e protezione di questo ecosistema. Ecco alcuni dei passaggi più significativi emersi dalle domande che Il Giornale degli Orologi e altri colleghi hanno posto a Grangié.

Passato e presente

Qual è l’obiettivo della Maison in orologeria, visti i massicci investimenti operati negli anni?
La decisione più importante per l’orologeria di Chanel è venuta a fine anni ’80, dopo il lancio del Première nel 1987. Chanel decise allora che il modo in cui avrebbe creato gli orologi sarebbe stato lo stesso con cui creava moda, fragranze o beauty. Eravamo, e siamo, un’azienda integrata verticalmente e non c’era motivo di trattare l’orologeria in modo diverso. La cosa più semplice sarebbe stata dare in licenza il marchio a un’azienda di orologi che li avrebbe prodotti; noi invece comprammo negli anni ’90 la manifattura a La Chaux-de-Fonds e investimmo lì fin da allora.

Quali sono state le tappe più significative di questo percorso?
Il nostro primo, grande passo, è stato diventare specialisti nella ceramica con la nascita del J12 nel 2000. Siamo uno dei tre gruppi in Svizzera che lavorano completamente la ceramica dalla materia grezza al prodotto finale. Questo ci ha dato una forte base per sviluppare tutto ciò che avremmo voluto. Poi abbiamo cominciato a investire anche in altri marchi e manifatture – Bell&Ross, Kenissi, Romain Gauthier, François-Paul Journe, MB&F -, creando un ecosistema indipendente che nutre la creazione e il savoir-faire. Non è diverso da ciò che facciamo con la profumeria dal 1921 con il N° 5, che è ancora un best-seller dopo un secolo esattamente per questo motivo. Ciò che investiamo oggi tornerà nei prossimi decenni, nel prossimo secolo: siamo fiduciosi nel fatto che la Maison sarà ancora al top anche tra 100 anni, anche nell’orologeria che è la categoria più recente.

Il futuro

Pensate ad altre acquisizioni?
Guardiamo ai competitor, che spesso sono anche nostri buoni amici, e restiamo umili. Amiamo ciò che facciamo ma allo stesso tempo dobbiamo tenere il passo e andare veloci. È importante essere un player di primo livello, ma ancora più importante che le nostre creazioni siano esattamente come le vogliamo noi. E continueremo a investire sempre di più in futuro. Abbiamo molte richieste da altri marchi per entrare nel nostro ecosistema. Se guardiamo agli ultimi 15 anni, Romain Gauthier è entrato nel 2011, Kenissi e François-Paul Journe nello stesso giorno del 2018, MB&F pochi mesi fa. Tra ciascuna di queste operazioni ci sono 6/8 anni, ma non so che cosa succederà da qui a qualche anno. Ci sono diversi modi per investire, sull’orologeria siamo molto seri.

Pensate a uno spostamento verso la clientela maschile o avrete sempre una predominanza femminile?
Circa il 95% dell’offerta di Chanel è femminile ed è esattamente ciò che vuole essere il Brand. È vero anche che abbiamo visto negli ultimi due anni molti collezionisti spostarsi su di noi da altri marchi. Produciamo orologi importanti e seri, ma con una componente pop che è molto cool e fa presa anche sull’appassionato. C’è poi il J12 Bleu che è del tutto gender free. Penso che la clientela maschile sia pronta per gli orologi Chanel, ma il focus principale delle nostre creazioni rimane femminile, anche se molti mercati stanno diventando gender free.

Chanel e il mercato

Come vede la situazione del mercato nel 2025?
L’industria dell’orologeria vive di grandi cicli. Quando il mercato scende è importante avere la capacità di assorbire lo choc e di continuare a progettare il futuro. Così, quando si riprenderà, si sarà pronti: è un’industria che ragiona a lungo termine. Faccio un esempio. Noi possediamo parte della manifattura Kenissi, attraverso questo investimento controlliamo diversi subappaltatori che lavorano anche per altri brand. Ciò significa che sappiamo come va il mercato e che proiezioni avrà, perché vediamo ciò che fanno gli altri, sappiamo quali marchi stanno comprando i componenti e quali no. La risposta a queste difficoltà è avere diversi punti di forza. Per esempio, nel nostro caso, la distribuzione, legata al fashion con diversi tipi di creazioni principalmente femminili: quel mercato si sta comportando molto meglio di quello dell’orologeria e delle creazioni maschili. Inoltre credo che se nel mercato si portano i prodotti migliori e la qualità migliore, come è tipico di Chanel, allora si affronta nel modo giusto il rallentamento del mercato stesso.

Alti e bassi come negli anni della pandemia…
La pandemia è un ottimo esempio. Una delle caratteristiche di Chanel, come di altri grandissimi brand del lusso, è che non ha un e-commerce per orologi, moda ecc. Con la pandemia, tanti competitor sono venuti a dirci che, poiché chiudevamo i negozi, dovevamo aprire l’e-commerce. Non lo abbiamo fatto. Dicevano che stavamo perdendo un’opportunità, ma il periodo 2020/2021 è stato quello in cui abbiamo investito di più dal punto di vista industriale, nell’orologeria, nel retail, nel real estate. È stato un periodo lungo e doloroso, ma quando tutto è ripartito noi eravamo pronti. Gli stessi per i quali stavamo perdendo un’opportunità senza e-commerce hanno poi detto che siamo stati il brand che meglio ha gestito l’approccio alla crisi pandemica. 

Chanel e l’orologeria svizzera

Perché essere a Watches and Wonders?
Abbiamo avuto difficoltà con l’organizzazione di Baselworld e con altri brand amici ci siamo staccati e siamo passati a Ginevra. Considerate che siamo anche fornitori di altri grandi nomi, siamo parte dell’ecosistema orologiero svizzero e alcuni degli investimenti che abbiamo fatto nei marchi indipendenti elvetici servono a proteggere e a valorizzare questo sistema. Venderemmo meno orologi se non fossimo a Watches and Wonders? Non è questo il punto. Il punto è che è bello far parte di un’industria che una volta all’anno si riunisce a presentare novità e prodotti, amiamo visitare gli stand degli altri marchi, c’è un senso di comunità che non vedo in altri settori. Ci conosciamo tutti e tutti sappiamo che dobbiamo proteggere quella che è la base del nostro settore.

Quanto è importante per lei lavorare in un’azienda familiare e non in un grande gruppo?
Molto. Conosco entrambi i business model perché vengo da oltre 20 anni in LVMH, ma quando lavori in settori come quello degli orologi e gioielli devi pensare sempre a lungo termine e noi lo facciamo. Non so quale altro brand avrebbe potuto giustificare gli investimenti che abbiamo fatto nella ceramica dai primi anni 2000, se non dicendo: da qui a 10, 20, 30 anni vedrete. Sono molto grato alle persone che 25 anni fa hanno preso questa decisione, perché oggi non solo siamo capaci di cose come il J12 Bleu, ma lavoriamo anche per altri marchi creando per loro della bella ceramica e loro stessi ci stimolano a migliorare sempre più. Torniamo all’idea di essere parte dell’ecosistema svizzero, che funziona solo perché ci rendiamo più forti l’uno con l’altro. Siamo competitor, ma lo facciamo funzionare. Abbiamo la consapevolezza del fatto che ciascuna decisione presa da ognuno avrà un grande impatto sul futuro di tutti.