Per gli appassionati dei romanzi di spionaggio, James Bond, alias Agente 007, è un mito, così come sono mitiche tutte le figure a contorno delle sue avventure. A me, ingegnere, ha sempre affascinato Q, inventore geniale di tutti gli innumerevoli gadgets che-sembrano-qualcosa-ma-fanno-qualcos’altro e che salvavano Bond da situazioni impossibili. Oggetti quotidiani, in apparenza normalissimi e invece capaci di altre funzioni e operazioni. Chi presterebbe attenzione a un orologio, indossato da un distinto signore? Infatti, anche gli esemplari di Bond non erano mai banali segnatempo. Ma questi orologi per le spie, le cosiddette spy watch camera, sono un’invenzione di Ian Fleming o sono veramente esistiti?
Un po’ di storia
Come molte buone idee, anche quella di celare un dispositivo di cui si vuole nascondere la presenza all’interno di un oggetto comune, ha origini antiche. Chi colleziona bastoni da passeggio conosce i cosiddetti animati, al cui interno si celava un pugnale o altre diavolerie: ne ho visto personalmente uno che conteneva un intero kit per topografo!
Se a volte i più abili Maestri nascondevano un orologio dove uno non lo avrebbe immaginato, per esempio in una bella moneta d’oro (si veda qui), ci fu chi ebbe l’idea, poco dopo la scoperta della fotografia, di creare macchine fotografiche “segrete”. Naturalmente, non era immaginabile nascondere una macchina fotografica dell’epoca, date le dimensioni. Nessuno, quindi, avrebbe potuto supporre che un gentiluomo che stava consultando l’ora stesse in realtà fotografando quanto gli interessava.
Quando Q si chiamava Lancaster
Cercare negli archivi spesso porta frutti inaspettati. Riguardo alle spy watch camera, sembra che il primato tocchi alla Gran Bretagna. L’inventore era riuscito a inserire nella custodia di un comune orologio da tasca proprio una macchina fotografica a soffietto funzionante, con tanto di micro-lastra come supporto per l’immagine. La scoperta fu brevettata nel Regno Unito alla fine del XIX secolo.
In una pubblicità della ditta Lancaster del 1893, si parla già di un modello “avanzato”, evidentemente migliorativo rispetto a un precedente. L’azienda di Birmingham J. Lancaster & Son – leggiamo nei cataloghi – offriva una serie di modelli diversi, tra cui persino uno da signora, ancora più minuscolo del modello da uomo.
A corredo della spy watch camera, una piccola custodia permetteva di portare con sé anche un paio di lastre di scorta. Si trattava di oggetti delicatissimi, com’è facile immaginare. Degno di nota è l’esemplare passato in asta da Bonhams nel 2007, che potete vedere nella galleria delle immagini. Non sono una che si stupisce facilmente, ma quel pezzo di grande qualità mi ha lasciato senza parole.
La copia in tono minore
Contemporaneamente, anche negli Stati Uniti c’era chi cercava di realizzare qualcosa di analogo, magari meno rifinito, ma a un prezzo più accessibile. Nel 1894, tale John Hegelein depositò a New York un brevetto, in cui sostanzialmente andava a rivendicare la paternità di un vero e proprio plagio.
Si trattava, infatti, di una copia eseguita in modo meno raffinato della spy watch camera di Lancaster. Né la cassa, né la meccanica potevano competere con l’originale inglese. Comunque riuscì a produrne un certo numero di esemplari, anche grazie al prezzo di vendita contenuto (5 dollari di allora, equivalenti a circa 750 euro odierni) e al fatto che sul prodotto locale non gravavano le tasse di importazione, che rendevano ogni oggetto proveniente dall’estero molto più caro.
La risposta “all’americana”: la Ticka e la Expo
Di rarità in rarità, passiamo ora a due veri miti, entrambi americani per impostazione progettuale, ma sviluppati a livello industriale anche in Inghilterra, oltre che negli States. Di fatto, due figli di uno stesso padre.
Mentre Lancaster realizzava i propri mini capolavori, a New York un inventore svedese, Magnus Niéll, brevettava nel 1904 una propria macchina fotografica sotto forma di orologio da tasca. L’anno prima, aveva depositato e ottenuto il brevetto per la stessa idea nel Regno Unito, con il nome commerciale di Ticka: un gioco di parole sul termine Tick, cioè “scatto”. Lo slogan era infatti: “Ogni scatto (tick), una foto”. Il successo della Ticka fu notevole e la realizzazione proseguì fin verso il 1914. La ditta produttrice, la britannica Houghton Company Ltd, aveva infatti assunto Magnus Niéll, assicurandosi la sua inventiva e le sue capacità.
Costruita in Inghilterra, ma sulla base di un progetto più “americano”, la spy watch camera Ticka non aveva la raffinatezza dei modelli di Lancaster, ma era più robusta e costava meno. Ben presto ebbe un caricatore che permetteva un’autonomia maggiore per gli scatti e fu subito, a propria volta, oggetto di concorrenza.
Nacque infatti un’azienda statunitense, la Expo Camera Company che, basandosi sempre su un brevetto di Niéll, produsse la Expo, in molteplici varianti. Queste versioni economiche, più moderne e molto meno delicate del loro progenitore, ebbero un successo molto più ampio di quanto avesse riscosso l’originale. Di fatto, con diverse evoluzioni, la loro produzione proseguì in buone quantità fino alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Alcuni modelli della Expo, dopo l’acquisizione dell’azienda da parte di un nuovo proprietario, continuarono a essere prodotti fino al 1935. Si distinguono per il fatto di essere colorati e sono ricercatissimi dagli appassionati del genere, in quanto molto rari.
Le repliche nel Sol Levante
Negli anni Sessanta del secolo scorso, sottovalutando le capacità industriali del Paese del Sol Levante, si era soliti ripetere che i Giapponesi copiavano tutto. Salvo poi dover fare ammenda – moralmente parlando – e dover riconoscere loro capacità tecniche e industriali che hanno fatto scuola anche in Occidente. Parlando di macchine fotografiche in forma di orologi, però, bisogna ammettere che proprio di plagio si trattasse.
Siamo negli anni Dieci del XX secolo, quindi poco dopo il lancio di Ticka ed Expo.
Una fantomatica azienda nipponica si celava sotto il nome di un misterioso agente (commerciale, non segreto!), la T.U. Camera Company. Di fatto, produceva repliche degli originali Expo, presentandoli sotto il nome di Moment. Inutile ripetere che si tratta di oggetti di grandissima rarità, anche perché prodotti in numeri veramente esigui.
Le spy watch camera fotografavano?
A questo punto, visti i progetti e visti gli esemplari, ci sarebbe da domandarsi se poi questi finti orologi fossero capaci di fotografare qualcosa, al di là di uno scatto amatoriale. È lecito chiedersi, insomma, se fossero oggetti utili per chi voleva, per esempio, fare davvero spionaggio industriale. La risposta è sì.
Si trattava, naturalmente, di fotografie in bianco e nero, ma la qualità delle immagini ottenute, di cui trovate in galleria un saggio, a oltre cent’anni di distanza ci colpisce ancora. Certo, può farci sorridere, abituati come siamo a immortalare anche il gelato, con il cellulare in mano. Ma per allora si trattava veramente di un prodigio.
In tempi recenti
Se all’epoca dell’invenzione della spy watch camera l’orologio da tasca era accessorio indispensabile per ogni gentiluomo, col progresso dei tempi le cose cambiarono. Oggi, chiunque estragga dal panciotto un orologio, anche vero, attira l’attenzione: ma si sa, primo dovere della spia è passare inosservata. Fu giocoforza, quindi, cercare di celare una macchina fotografica in un orologio da polso. Missione ancora più difficile.
Nel secondo dopoguerra, ecco quindi un’ennesima macchina fotografica che si finge orologio: una spy watch camera da polso, questa volta. Siamo nell’allora Germania Ovest: a produrla è la ditta Steineck Kamerawerk di Tutzing, in Baviera, poco lontano da Starnberg. L’anno è il 1948, l’inventore è l’ingegner Rudolph Steineck e il modello viene battezzato A-B-C.
Non aveva mirino, registrava le immagini su un dischetto speciale e chi la utilizzava doveva avere esperienza. Bisognava puntarla basandosi sull’intuito, dato che chi la usava non poteva fare altro che azionare un pulsante per scattare la foto. La produzione cessò nel 1951.
Comunque, le spy watch camera non erano orologi. O sì?
Siamo ormai negli anni Settanta: la Guerra Fredda è in corso, quando dall’Ufficio Servizi Tecnici della CIA, noto come OTS, Office of Technical Services, parte una richiesta molto particolare a Seiko. I tecnici del Marchio giapponese dovranno riuscire a modificare un modello comune dei loro orologi da polso elettronici di ultima generazione, facendo in modo di incorporare una vera micro-fotocamera, un oggetto esistente e creato per fini speciali. Quasi una sfida.
Ed ecco che le capacità dei giapponesi raggiungono lo scopo: ben oltre l’imitazione, entra in gioco l’ingegno progettuale. Ne nascerà un orologio comune, che segna (finalmente!) il tempo, ma con un segreto. Ruotando la lunetta, ruota anche il quadrante, elegantissimo, e la finestrella che prima mostrava il display con ore e minuti lascia libero l’obiettivo della microscopica fotocamera. Basta azionare un pulsante, a ore 4, e si scatta la foto.
Si trattava di un dispositivo che aveva molte limitazioni: fondamentalmente, fotografava a fuoco tra i 30 e i 50 centimetri. Era nato per poter tranquillamente copiare documenti classificati mentre si era magari seduti in biblioteca, appoggiando il gomito e fingendo di toccare i tasti dell’orologio per settarlo.
Una sua caratteristica distintiva era la più totale silenziosità, che permetteva di usarlo anche durante riunioni, o in locali in cui fossero presenti altre persone o microfoni. Montava una pellicola che permetteva fino a 100 scatti ad alta risoluzione ed era indistinguibile da un comune Seiko.
Ma, allora, James Bond cosa indossava?
Nel 1977, in una scena del film The Spy Who Loved Me (in Italia La spia che mi amava), James Bond riceve un messaggio in un modo strano. Il testo, infatti, è scritto a rilievo su un nastrino che fuoriesce in tempo reale dall’orologio che porta al polso – un po’ come le vecchie etichette Dymo, per i più agés tra noi.
Nel messaggio, M, il mitico capo in testa dell’organizzazione, gli dice di mettersi immediatamente a rapporto con il Quartier Generale. Il nastrino, testualmente, riporta: “007 to report HQ. Immediate M”.
L’orologio? Era un Seiko. Per chi a questo punto si è incuriosito, diciamo che era un Seiko 0874 5009 Quartz LC.
Da quel momento, per molti film, orologi Seiko furono al polso dell’inimitabile spia al servizio di Sua Maestà. Se pensiamo che il buon James Bond sfoggiava, in alternativa, Rolex, Omega e altre marche elvetiche, è curioso trovarlo in così importante compagnia, no? Senza nulla togliere al Brand nipponico, s’intende.
Forse è proprio vero, come diceva un mio vecchio amico molto esperto nel settore, che «talvolta nei film ci sono messaggi»…