Una visita alla manifattura Breguet diventa l’occasione per riflettere sul carattere della marca. Sull’impronta data dal fondatore e sul sentiero da lui segnato. Valido tuttora
Si trattasse “solo” di far buoni orologi, la cosa sarebbe quasi facile. L’orologeria, però, è molto di più che un buon orologio. Se ci pensiamo per pochi minuti, la cosa appare in tutta la sua evidenza. Pensate ad esempio a quante marche usano movimenti più o meno standard, come gli ETA e i Valjoux: buoni movimenti con i quali è (quasi) facile fare buoni orologi. L’estetica, dite? Sì, certo, è importante. Importantissima.
Ma provate a pensare ad una marca che fa un bellissimo orologio classico e poi un bellissimo orologio proiettato nel futuro e poi un cronografo sportivissimo… Ciascuno di loro può essere, come abbiamo visto, sia di ottima qualità che bellissimo, ma non basta. Serve un senso, serve un carattere. La marca, per essere tale, deve avere carattere e personalità propri, originali e riconoscibili. E qui torniamo, inevitabilmente, al genio di Abraham-Louis Breguet. Che non è solo uno straordinario inventore di dispositivi micromeccanici, ma molto, molto di più.
Cercherò di riassumere al massimo, ma non è possibile comprendere Breguet se non lo si inserisce nella sua epoca: il Settecento, il Secolo dei Lumi, l’era dell’Illuminismo. Scienza, certo, ma anche una forma di risveglio del popolo che scoppierà, alla fine, con la Rivoluzione francese. E poi Napoleone, poi la Restaurazione… Ma è anche il tentativo di rendere belli e poco costosi gli orologi che spinge Breguet a perfezionare o inventare canoni estetici propri – che poi diventeranno così caratteristici da decretare il successo della marca.
Un successo così forte da far gola ai falsari, costringendo Breguet ad inventare la minuscola “firma segreta” che ieri come oggi caratterizza i suoi orologi. Ma Breguet è anche un “povero svizzero” proveniente da un paesino lacustre elvetico venuto in Francia per imparare l’orologeria vera. Perché, a quei tempi, gli orologi di qualità erano solo francesi o inglesi. Gli svizzeri, nell’orologeria dell’epoca, venivano considerati una mezza schifezza.
Breguet manda anche uno dei figli, Antoine-Louis, a studiare da John Arnold, eminente orologiaio inglese che a suo tempo era venuto a Parigi per lavorare a fianco di Breguet stesso. L’atmosfera era quella di collaborazione, amicizia e condivisione della scienza orologiera. Fantastico, vero? E parte di questa sapienza tornò certamente in Svizzera quando Abraham-Louis Breguet vi trovò riparo dalla fase più cruenta della Rivoluzione Francese, dalla quale lui, fornitore della Corte, difficilmente si sarebbe salvato. Mi sono spesso chiesto se il successivo trionfo dell’orologeria svizzera, dovuto all’invenzione, per così dire, del buon rapporto fra prezzo e qualità, non sia in qualche modo germogliato da un seme piantato da Abraham-Louis Breguet.
Sta di fatto che il marchio Breguet continua a produrre orologi anche quando i figli vendono la fabbrica, che poi passerà al gioielliere francese Chaumet e infine ad un fondo d’investimento mediorientale, l’Investcorp. E continua a produrli – anche quando la qualità non è poi così elevata – proprio perché Breguet ha carattere, Breguet ha una propria estetica, ha una propria personalità inconfondibile.
Nel 1999 il marchio Breguet, una piccolissima fabbrica a Le Brassus, confine con la Francia, Giura svizzero, viene comprato da Nicolas Hayek, da Swatch Group. Hayek, più che Breguet, ha nel mirino la Lemania, la fabbrica che produce il leggendario movimento cronografico dello Speedmaster di Omega, l’orologio andato sulla Luna. Si riappropria in pieno di un orologio fondamentale per la corazzata Omega, che insieme a Longines costituisce lo zoccolo duro, il solido basamento di Swatch Group. E poi, mentre gradualmente lascia al figlio Nick le redini del gruppo di famiglia, Nicolas Hayek prende su di sé la responsabilità di Breguet.
Una volta, parecchi anni fa, parlando di Breguet mi disse che tutto sommato era facile capire la strada: bastava osservare a lungo un prototipo, scorrere la storia di Breguet e chiedersi cosa avrebbe fatto Abraham-Louis Breguet, come avrebbe giudicato il prototipo. Perché – diceva Hayek – il sentiero aperto da Breguet è così chiaro, è ancora così ben segnato che bisogna solo seguirlo lasciandosi andare con fiducia.
E così Breguet rinasce sia da un punto di vista estetico sia da quello tecnico, anche se il massimo viene raggiunto quando, alla morte del nonno, Breguet passa (come Blancpain, del resto, marchio con cui s’era fatto le ossa) al taciturno Marc Hayek. La sua passione per i motori (è un ottimo pilota sportivo) aggiunge al pensiero del nonno una semplice, ma fondamentale constatazione: bisogna che un orologio, innanzitutto, funzioni bene, funzioni sempre, funzioni senza problemi. E qual è il primo requisito per produrre orologi di qualità? Una fabbrica in grado di produrre orologi di qualità.
Un giorno faremo un discorso serio, serissimo, su quanto Swatch Group abbia investito in tecnologie e materiali per l’orologeria. Qui mi limito a notare come la fabbrica Breguet sia – a ben vedere – proprio la fabbrica che Abraham-Louis Breguet vorrebbe, se fosse vivo oggi. C’è il fiume della storia, simboleggiato dalla macchina per realizzare i quadranti: una lastra d’oro incisa a mano da un artigiano specializzato (oggi come allora) ma con l’aiuto di una macchina a pantografo che rende più facile la produzione (più che altro limita gli errori e quindi gli scarti) senza però snaturare l’operazione o renderla alla portata di chiunque.
Altrettanto avviene per le altre fasi di lavorazione: ovunque sia possibile avvalersi delle tecnologie moderne per migliorare la qualità finale ci si aiuta con queste tecnologie; ovunque la mano umana si riveli migliore delle tecnologie (in certi casi anche perché un pur costosissimo tecnico specializzato costa meno di una macchina progettata e realizzata per la produzione di un numero limitato di parti d’orologio), allora si continua a preferire la mano umana.
Se Abraham-Louis Breguet entrasse oggi nella fabbrica Breguet avrebbe un iniziale senso di disorientamento. Ma subito dopo sarebbe in grado di riconoscere il proprio modo di lavorare apprezzando le tecnologie impiegate per migliorarlo. E poi passerebbe a studiarle, queste tecnologie, per migliorarle ancora.
Perché ho rotto tanto con questa storia, per parlare, tutto sommato, solo di una fabbrica d’orologi? Perché prenderla così alla lontana, quando il punto è una officina micromeccanica? Perché c’è molto di più, lo ripeto. Perché quando sogno un Breguet sogno tutta la posta in palio, sogno la storia, sogno il genio, il precursore, sogno l’inventore della lancetta, l’inventore del marketing. Sogno non soltanto l’orologio, ma anche la sua personalità. È questa la grande orologeria: nasce dal passato e scorre verso il futuro, nel continuo, ininterrotto fiume della storia. Generazione dopo generazione. Per questo è bello, molto bello, sognare certi orologi.