Dall’isola d’Elba a Milano e ritorno. Dalla vendita di pellami alla produzione di orologi, passando per i cinturini. La storia di Locman si intreccia con la vita del suo fondatore, Marco Mantovani. Una vita intensa, profondamente legata alle radici e al tempo stesso alimentata dalla capacità di sognare e volare alto. Scommettendo sempre sull’unicità della maestria italiana. Senza mai smettere di respirare l’aria del suo mare. Che da sempre ispira le sue collezioni e le sue scelte di vita.
In mezzo al mare Marco Mantovani ci è nato. Precisamente a Marina di Campo, sull’isola d’Elba, nel 1961. E non è un dettaglio, perché il legame con un’isola è una delle forme più forti e inossidabili di attaccamento a uno dei quattro elementi naturali. Che ti resta dentro. Come ben dimostra la caparbietà di Marco Mantovani, che sull’isola d’Elba, ben lontano dagli hub di produzione e distribuzione, ha scelto di insediare i laboratori Locman. Una storia che nessuno meglio del suo fondatore potrebbe ripercorrere. Ecco perché, in questo excursus, abbiamo scelto di riprendere stralci di un suo racconto.
«Da piccolo sognavo di diventare una guardia forestale», racconta Marco Mantovani. Che in effetti lavora in una ex caserma della Dogana a Marina di Campo. Perché lì ha stabilito il quartier generale di Locman, una delle pochissime realtà produttive dell’orologeria italiana. Che ha coniugato design creativo ed eccellenza tecnologica con l’utilizzo di materiali compositi come titanio, fibra di carbonio, alluminio.
Tutto è cominciato all’Elba; ma in tutt’altro settore. «A Marina di Campo mio nonno materno aveva un ristorante e altre attività. Come una boutique di abbigliamento, in cui mia madre lavorava e mio padre veniva a fare acquisti. Si conobbero così. E, nonostante lui fosse di Milano, si stabilirono all’Elba. Poco dopo la mia nascita, però, decisero di trasferirsi a Milano. Era il periodo della dolce vita – cui si ispira la nostra collezione 1960 – e del boom economico. Mio padre, rappresentante di pellami, vendeva ai grandi produttori di calzature. Mi insegnò l’etica del lavoro, la passione e il servizio al cliente. Senza mai smettere di tornare all’Elba, a trovare i parenti», racconta Mantovani. Che ha sempre avuto le idee chiare: «Ho sempre desiderato vivere sull’isola», confessa.
Ogni cosa a suo tempo. Agli inizi Marco affiancò il padre. «Entrai in contatto con l’affascinante mondo della moda e della manifattura italiana. E ben presto scoprii una vena creativa che mi portò a fondare il marchio di pelletteria Locman Design». Un marchio nato dalla fusione delle sillabe iniziali del cognome del suo primo, Fulvio Locci (a cui poco dopo si unì Claudio Fanucchi) e del suo. «Nella nostra linea inserimmo cinturini per orologi che portammo alla fiera dell’orologeria di Basilea. Conquistammo subito l’attenzione di importanti case orologiere svizzere. Perché all’epoca i cinturini erano quasi tutti in cocco nero stampato liscio; mentre i nostri erano in cuoio, con una bella varietà di fogge e colori».
Arrivò il primo incontro decisivo. Con Gino Macaluso, all’epoca distributore di Breitling con la Tradema, la società da lui fondata. «Macaluso, uno dei grandi geni dell’orologeria, per me un grande maestro, intuì che Breitling poteva essere rilanciato puntando sul cronografo automatico. Valutò che il nostro cinturino fosse perfetto per il Chronomat. Fu un successo incredibile. E, sempre grazie a Macaluso, iniziammo a lavorare attivamente con Hamilton e Girard-Perregaux», ricorda il fondatore e Presidente di Locman. Per il quale è stato breve il passo dall’intuizione di cinturini innovativi all’innamoramento per l’orologeria.
Nel 1986 Locman affida a Genesi, storica fabbrica di orologi milanese attiva fin dagli anni ’50, la produzione di orologi di alta qualità con suo design e manodopera italiana. Dapprima per grandi case svizzere e italiane. Poco dopo, a marchio Locman. Il debutto? Un orologio completamente artigianale, con parti in oro e radica di erica, un legno prezioso tipico dell’Isola d’Elba. Che ritornerà sempre come fonte ispiratrice per materiali, nomi (la prima collezione ha ripreso i nomi delle sette isole toscane), forme e colori.
Il secondo incontro fondamentale per la storia di Locman è stato con Carlo Crocco, patron di Hublot e di Binda, che ai tempi gestiva anche Breil, Vetta e distribuiva Longines. Si innamorò del primo orologio Locman. E decise di entrare in società, prendendone in carico la distribuzione internazionale. Così il marchio, che all’epoca aveva una sede a Milano e una all’Elba, iniziò a farsi conoscere nel mondo. «Alla metà degli anni ’90, spiegai a Crocco il mio sogno: puntare sul marchio Locman, valorizzando il made in Italy e la componente aziendale all’Elba. Lui capì. E, da signore quale è sempre stato, mi permise di realizzarlo».
Una spinta decisiva arrivò con un altro incontro, piuttosto inusuale. Quello con una foto del faro Punta Polveraia, all’Elba, in un ufficio doganale di Panama. Un chiaro segno del destino che spinse Mantovani a rischiare, rilevando l’azienda assieme a Peppino Pea. «Fu per me un passo doppiamente importante. In primis, non avevo le risorse per farlo e mi indebitai molto. E poi un conto è disegnare orologi per le multinazionali svizzere o vendere loro i cinturini. Un altro è avere un brand proprio, inventare comunicazioni e strategie, vendere a negozianti. Che se non vendono a loro volta non ti pagano. In quel momento, incoscienza e gioventù mi spinsero a rischiare: devo dire che le cose sono andate abbastanza bene».
Sempre il destino mise sulla strada di Marco Mantovani un nuovo socio, l’americano Ben Feigenbaum. «Era il 2000. Avevamo cominciato a produrre la linea Sport in alluminio per conto terzi. Diventò il nuovo orologio a marchio Locman, che noi distribuimmo in Italia e Ben negli Usa. Lo star system», sottolinea Mantovani, «ci fece da cassa di risonanza». Anche grazie a un altro colpo di fortuna. «Ben Feigenbaum mise in vendita una collezione in alluminio e diamanti a New York da Bergdorf Goodman, la catena americana di negozi di lusso», ricorda Mantovani.
«Il giorno successivo alla commercializzazione era il compleanno di Jennifer Lopez. Dal negozio passò Puff Daddy: comprò un orologio per sé e uno per lei. Alla festa di compleanno, tutti gli invitati videro gli orologi della coppia. Il giorno dopo avevamo la fila fuori dal negozio. Anche Elton John, tornato in Europa, ci chiamò per ordinarne un grosso quantitativo da donare agli ospiti di una sua festa a Saint Tropez». Quell’esemplare divenne un fenomeno. E il marchio prese forza e notorietà.
Oltre a conquistare i polsi delle grandi star della musica e del cinema internazionale (come Nicole Kidman e Sharon Stone), Locman ha incrociato le sue vicende con quelle del capitalismo italiano del nuovo secolo. «Dopo la scalata a Telecom Italia con Hopa Spa, Emilio Gnutti iniziò a comprare diverse aziende con il progetto di creare un polo del lusso. Chiamò anche noi», racconta Mantovani. Ribadendo che fu subito chiaro che non avrebbe venduto la maggioranza. Hopa entrò con un 35 per cento del capitale. «Fu un’esperienza importante aver un partner finanziario di grande prestigio», commenta l’imprenditore elbano. «Gnutti era innamorato dell’orologeria. Dopo la vendita di Telecom Italia mi disse che avrebbe voluto puntare su una quotazione di Locman. Ma i tempi erano prematuri».
Locman avvia prestigiose collaborazioni con le Forze Armate, per il lancio di modelli con il marchio dell’Aeronautica militare, dei Paracadutisti Folgore e della Marina Militare. Diventa fornitore ufficiale della Presidenza del Consiglio. Rafforza gli investimenti in tecnologia, arrivando a presentare il primo orologio al mondo con cassa in fibra di carbonio. Ma la crisi è dietro l’angolo. Dopo lo scandalo Hopa, Marco Mantovani e Peppino Pea riescono a riacquistare il 35 per cento di Locman, indebitandosi fino al collo.
Nello stesso anno, il 2005, a Mantovani viene diagnosticata una grave malattia, con una aspettativa di vita di 3/6 mesi. E deve sottoporsi a cure impegnative. La società resta in stallo. Dopo tre anni, però, Mantovani viene dichiarato guarito e si rimbocca le maniche. Certo, era il 2008: l’alba della grande crisi finanziaria mondiale. «Io e Peppino ci trovammo a dover ripartire con diversi milioni di perdite e un fatturato ai minimi termini. Ricostruimmo e rilanciammo la società. Già dal 2009 le cose cominciarono a migliorare», ricorda l’imprenditore.
Locman acquista il 100 per cento di tre società già partecipate: Genesi (unità produttiva), Scuola italiana di orologeria (accademia interna di formazione) e Materie future (studio e applicazione di materiali compositi in orologeria). Continua a produrre e fare design di orologeria con il suo marchio e anche per aziende terze. Nel suo capitale entrano Pino Rabolini e Andrea Morante, rispettivamente fondatore ed ex amministratore delegato di Pomellato, che era stata appena venduta a Kering. Arriva il successo per la collezione Stealth Titanio e Carbonio.
Il 2010 è l’anno di lancio del nuovo modello Montecristo: anima sportiva e marina, con alta qualità produttiva. Il Montecristo si impone come una vera e propria icona dell’orologeria italiana. E sembra sintetizzare tutto ciò in cui ha sempre creduto il fondatore di Locman: creatività (sempre curata da Mantovani, assieme alla gestione dell’azienda), design e manifattura italiana. Ricerca e innovazione tecnologica associate al rispetto della tradizione orologiera. E a un autentico amore per il mare. Che ha spinto Marco Mantovani in prima linea per la tutela dell’ambiente naturale: dalla costituzione della Fondazione Isola d’Elba alla partnership con Marevivo.
Sempre nel segno di una forte attenzione al made in Italy, nel 2017 Locman ha avviato una collaborazione con Ducati. Iniziando a produrre orologi con il marchio della casa di Borgo Panigale. Un bell’esempio delle alleanze virtuose in cui Mantovani ha sempre creduto. «Penso che le imprese funzionino quando c’è la squadra. È la cosa principale e più difficile da allestire, specialmente in un settore come il nostro che necessita di competenze specifiche molto tecniche», dice ripercorrendo le complesse vicende della sua azienda. Che una squadra – rivista, ricostruita, rilanciata – l’ha sempre avuta. «Delle nostre esperienze non facciamo un fardello ma una ricchezza. Credo che la storia della nostra azienda possa tramutarsi in un successo di lunga durata, auspica l’orologiaio».
E lo sguardo va al ricambio generazionale. «Abbiamo ringiovanito l’età media dei collaboratori anche in ruoli di responsabilità», riferisce il presidente. Che, quando gli chiedono come vede il futuro di Locman, risponde: «Ho tre figli. Il mio sogno è dar loro la possibilità di scegliere se voler continuare a portare avanti l’azienda oppure no. In particolare il maschio, Giovanni, mi sembra molto interessato alle tematiche industriali, commerciali e finanziarie: vedremo, tempo al tempo. Ora siamo tre soci, amici, diversi e forse per questo complementari. Con un partner di grande esperienza e prestigio come Andrea Morante possiamo progettare il futuro con più sicurezza».
L’orizzonte, guardato da un’isola, è ben lontano. «La sfida che ci troviamo di fronte è grande: puntiamo a ricostruire un’origine dell’orologeria italiana che è stata in passato molto florida. Penso al periodo intercorso tra gli anni ’60 e ’90, in cui la filiera produttiva italiana era il riferimento per le grandi marche svizzere. Perdere questa tradizione industriale sarebbe un vero peccato. «Forse è arrivato il momento di ricostruire questa filiera», suggerisce Marco Mantovani. «E di darle un nome, senza metterla al servizio di mercati diversi. Per questo, è tempo di fare alleanze». Un sistema in cui Locman si candida come guida.