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Dietro le quinte. Le manifatture d’orologeria: poche mani e tante fatture

Torniamo a parlare di manifatture. L’eccellenza dell’orologeria svizzera.
Vorrei iniziare con due dei commenti che ci avete mandato dopo aver letto i precedenti articoli sulle manifatture d’orologeria. Vere o presunte, a seconda delle tante opinioni diverse. Ho scelto questi commenti perché sembrano ben esprimere il pensiero di molti, davvero molti lettori.

C’è il giusto mezzo. Da un lato la produzione propria, dall’altro acquisti da produttori terzi, che è normale in un modo che si basa sulla specializzazione. Ormai c’è in ogni ambito (Davide).

Una manifattura d’orologeria che realizza tutto in casa si espone più sia a critiche che a elogi (Domenico).

In entrambe le considerazioni c’è davvero gran parte delle opinioni espresse da molti altri lettori. Eppure il discorso è così complesso da non trovare ancora un approdo sicuro. L’unico punto fermo è che tutte le manifatture d’orologeria credono, vogliono, lottano per, cercano sempre di offrire la miglior qualità possibile condita della miglior fantasia progettuale.

Cominciamo con la qualità, primo obiettivo delle manifatture d’orologeria

La qualità è un enorme insieme di dettagli – nessuno dei quali viene messo in secondo piano. Come possiamo (forse) misurarla? Beh, è proporzionale alla capacità di realizzare oggetti (nel nostro specifico orologi) in grado di sorprendere. Bisogna saper offrire la percezione di aver comprato un orologio migliore di quanto ci saremmo aspettati – indipendentemente dal prezzo.

E però la qualità è anche la consapevolezza che la soddisfazione del cliente non si esaurisce all’atto dell’acquisto, ma prosegue ben oltre nel tempo. A nessuno piace essere munto nel portafogli e poi mollato come un amante che “ora basta”. Come dice Davide, la qualità oggi viene percepita soprattutto nelle piccole marche indipendenti ma anche nei gruppi – grandi o piccoli – specializzati. Quelli che nell’orologeria hanno la propria ragion d’essere.

Anche per questo, non ostante gli “indipendenti” siano spesso inseguiti da finanziarie che cercano di acquistare o comunque di fare investimenti nelle manifatture d’orologeria, i proprietari di queste marche difendono a spada tratta la propria – appunto – indipendenza. Di solito creandosi riserve di soldi che consentano loro di superare eventi negativi come, ad esempio, la pandemia, che continua a far danni. Perché è in quel momento che le finanziarie ti piombano addosso come falchi offrendosi di aiutarti con iniezioni di soldi freschi. E poi finisce che comandano loro, pur non sapendo un bel niente d’orologi.

Infine, la qualità è non trovar mai soddisfazione. Una delle cose che mi sento dire più spesso, quando mi complimento per un nuovo orologio “di manifattura” è: «Sì, ma mi è venuto in mente come farlo evolvere e non vedo l’ora». Spesso i nuovi modelli non nascono da necessità di mercato, ma dall’insoddisfazione perenne dei dirigenti o dei proprietari delle marche.

La specializzazione: un male necessario. Anzi: un bene indispensabile

Perché si parla di specializzazione, anche nelle manifatture d’orologeria? Perché il progresso e le nuove tecnologie non possono farne a meno. Un esempio. Quando cominciarono a farsi strada le spirali in silicio, la tecnologia per produrle era così costosa da costringere alcune marche (fra cui Breguet e Patek Philippe) a mettersi d’accordo. Perché un intero wafer di spirali avrebbe di gran lunga superato le necessità di una singola marca, aumentando i costi a dismisura.

Ora, tenete presente che altrettanto avviene per certi materiali (chi si mette a produrre quei dieci chili di alluminuro di titanio che, complessivamente, servono ad Omega per realizzare le casse del proprio orologio superleggero?). Ma anche per i macchinari, senza i quali è impossibile produrre componenti critiche come il bilanciere, il sistema antiurto a altre ancora. Il prezzo di una di quelle macchine sarebbe eccessivo, per una sola marca. Figuriamoci poi per un artista dell’orologeria che produce poche centinaia di esemplari ogni anno. E non ostante i prezzi comunque elevati, anche loro devono fare in conti con la diretta concorrenza…

Magari tu mi dirai: ma falle a mano, quelle componenti, così ti costano meno. Vero. Una volta era così, ma oggi realizzare a mano componenti con una tolleranza al decimo di micron non è proprio possibile. E meno che mai è possibile realizzarne in serie, e tutte così precise da poter essere intercambiabili fra loro. Perché se ogni elemento andasse messo a misura manualmente, allora nel caso di una riparazione potrebbe intervenire solo la Casa Madre, con tempi biblici per le riparazioni. E costi astronomici. Come talvolta accade, del resto. E allora? Serve l’organizzazione specializzata. Di cui ora parliamo.

L’organizzazione specializzata e le sue varianti di base

Dopo “la Grande Crisi del Quarzo” che rischiò di far scomparire la Svizzera degli orologi, la produzione venne totalmente riorganizzata. In particolare lo Swatch Group di Nicolas Hayek fu l’unica azienda ad investire tutto, ma proprio tutto, sull’orologeria meccanica. Una storia che prima o poi andrà raccontata nei dettagli. Sta di fatto che Hayek comprò (spesso salvandole dal fallimento) molte fabbriche di componenti che dettero alla sua principale fabbrica di movimenti, la Eta, una posizione praticamente di monopolio.

Che non era privilegiata, come verrebbe naturale sospettare. Perché se una marca ti ordina 500mila movimenti e poi, alla prima crisi, riduce gli ordini a 200mila, tu resti col cerino in mano e 300mila movimenti in magazzino. Non è il sistema migliore per una sana programmazione aziendale.

Comunque, i grandi gruppi finanziari seguirono all’inizio la comoda strada dei movimenti Eta, fin quando una serie di diatribe legali gestite dalla Comco (la commissione svizzera per la concorrenza) portarono all’attuale situazione. Ossia alla nascita (in certi casi rinascita) di aziende piccole o grandi specializzate, appunto, nella realizzazione di componenti per orologeria.

La differenza la fanno ancora una volta le motivazioni economiche. La Vaucher Manufacture Fleurier (collegata alla Fondazione Sandoz e quindi anche a Parmigiani Fleurier) produce ad esempio platine – ossia le piastre di base su cui viene montato il movimentoo -, anche su misura. Si tratta di programmare il computer di una macchina per produrre quel che ti serve anche in piccolissima serie. Il costo della macchina viene comunque ammortizzato e resta solo quello della “sartorializzazione” della platina.

Ma la Vaucher Manufacture Fleurier produce anche movimenti interi, propri o su commissione (progettati all’esterno) e persino complicazioni da aggiungere ai movimenti. Propri, quasi propri o altrui. Come si vede, un’organizzazione molto articolata, che comprende persino fabbriche esterne, ma direttamente collegate. Ad esempio la Atokalpa, che produce spirali, bilancieri, interi organi regolatori ed altre componenti che richiedono lavorazioni particolarmente critiche. Anche in questo caso sono possibili le variazioni che citavo poco fa. Sartorializzazione, insomma.

Come fare un orologio di grande qualità senza una fabbrica di orologi

A questo punto si arriva ad un paradosso solo apparente. In teoria posso accaparrarmi un tecnico di immenso genio e fargli progettare – al computer – un movimento fantastico. Del quale qualcuno (un’altra azienda specializzata: ci sono anche queste) mi farà una piccola serie di prototipi da affinare fino al risultato soddisfacente. Altrettanto vale per la cassa, i vetri e quant’altro possa servire. In questo modo posso teoricamente produrre orologi eccezionali senza avere né una fabbrica né una quantità di tecnici.

Ma basta un ritardo di produzione per mettermi nei guai. Se vuoi poter programmare la tua azienda, allora la fabbrica la devi avere. E più produci da te, più puoi tenere tutto sotto controllo. Ma questo è un buon sistema per consentire ad un genietto dell’orologeria di creare una propria marca, da far crescere poi nel tempo. Altrimenti servirebbero investimenti immediati in quantità che ci vuol poco a rovinarsi.

Anche perché di solito un grande tecnico non necessariamente capisce di gestione aziendale. È proprio così che hanno chiuso bottega tanti grandi tecnici: la gestione aziendale è fondamentale. Arrivare ad una propria fabbrica, insomma, è un punto d’arrivo da raggiungere nel tempo adeguandolo alle proprie dimensioni. Aziendali, intendo. E questo vale per tutte le manifatture d’orologeria.

Chi fa da sé fa per tre, ma prende anche il triplo degli insulti

Domenico ha ragione da vendere: se riesci a fare tutto (o quasi) in casa sei esposto a critiche. Perché è facile fare un errore. Ricordiamo sempre che la solidità di una catena si misura con quella del suo anello più debole. Basta un piccolo difetto, una piccola sottovalutazione per essere spernacchiato dai clienti, magari aizzati dai concorrenti. Perché non dobbiamo dimenticare che il settore dell’orologeria d’arte svizzera è tra i più affollati in assoluto: marche in conflitto, talvolta feroce, pronte a mettere in evidenza gli errori altrui, veri o presunti che siano.

La ricerca della qualità assoluta è quasi indispensabile, allora, non solo perché la desiderano i clienti, che possono essere più o meno competenti; ma anche perché i competentissimi concorrenti sono pronti a far passare per peccato mortale una semplice svista. Mi è capitato di sentir criticare, da un concorrente, le viti di un orologio che “non sembravano” di qualità.

E allora chi te lo fa fare? Perché esporsi al pernacchio del disonore? Beh, perché romanticamente sogni di essere o di diventare il migliore. E – meno romanticamente – guadagnare i soldi e gli elogi (come dice Domenico) che fanno tanto bene al morale, alla vita e probabilmente anche al desiderio di passare alla storia. Perché quando una persona che lavora in orologeria si fa un selfie c’è sempre uno spiritello maligno a far photobombing. Il sogno d’immortalità. Qualunque cosa sia l’immortalità.