Approfondimenti

In manifattura da Moser (parte 2): la semplicità del meglio

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Alla fine della prima parte della mia visita in manifattura Moser ci siamo lasciati sulle scale che portano dal piano terra al primo piano. Quando ho salito quei gradini, mi sono ritrovato nel paese delle fiabe. Nei palazzi patrizi, dal Rinascimento in poi, il primo piano era chiamato “piano nobile” perché ospitava la cosa più preziosa: la famiglia. Nella manifattura è lo stesso, solo che qui le cose più preziose sono le complicazioni degli orologi.

Si trovano infatti lì i reparti assemblaggiocontrollo finaleregolazioni e soprattutto l’atelier delle complicazioni. Stanze nelle quali ci sono tutti gli ambienti che siamo abituati a conoscere in una manifattura. Banchi da orologiaio, tanta luce (sì, ancora quella), atmosfera ovattata e un silenzio che i visitatori come noi si guardano bene dal rompere, giusto solo per fare qualche domanda ai tecnici al lavoro. Cercando di non distrarli.

Perché quello che si svolge qui è un lavoro di altissima precisione, per il quale la macchina a controllo numerico è sostituita dal cervello e dalle mani dell’uomo. E dalla pazienza. Come quella che ha Lukas, impegnato su un calendario completo che, per essere concluso, ha bisogno di almeno venti ore. Ogni minuto che gli sottraiamo con le nostre domande è per lui oro.

Il piano delle meraviglie

Nel reparto di assemblaggio finale ho avuto la fortuna di assistere agli ultimi ritocchi su alcuni Heritage Dual Time. Con disinvoltura e precisione, un’austera signora eliminava i residui granelli di polvere dal quadrante bordeaux fumé, per chiuderlo poi sotto al vetro zaffiro, a movimento già incassato. Un’operazione apparentemente semplice ma di una difficoltà estrema per chi non è del mestiere, perché ad alto rischio di imperfezione. E l’imperfezione, da H. Moser & Cie., non è un’opzione. Specialmente considerando che producono circa 2.500 orologi all’anno. Solamente.

Notevole il lavoro di assemblaggio finale e di incassaggio. Proprio qui ho ritrovato quei pezzi che ho visto nascere due piani più sotto. Vi ricordate che nella prima puntata avevo scritto di non dimenticarvi di loro, che li avremmo rivisti più su? Eccoli qua. Bilancieri, masse oscillanti e treno del tempo trovano il loro posto all’interno delle casse proprio su questi banchi, grazie al lavoro di persone come Lukas, Livia, Lars, Nathalie, Neal. Mani, occhi e teste al servizio dell’eccellenza.

Un’eccellenza che è anche nei materiali, come il Vantablack su cui non mi soffermo: leggete qui, c’è tutto. O quasi, perché è toccato a Martina raccontarmi qualcosa che ancora non sapevo su questo materiale. Martina è una ragazza sulla trentina e fa parte di quel terzo di quote rosa che compone il personale dell’azienda: 33% donne, 67% uomini. E, nonostante l’età, è una delle più anziane nella manifattura Moser (l’età media degli orologiai, lì, è di 33 anni e mezzo), e una delle poche persone a saper lavorare i quadranti Vantablack. Perché richiedono capacità ed esperienza.

La difficoltà nel lavorarli, ci ha spiegato, sta nel fatto che non possono essere toccati con nulla. Polvere o imperfezioni devono essere tolte solo utilizzando un po’ di aria compressa, ma leggera. E ha usato un’espressione che mi ha fatto capire tutto alla perfezione: «Il Vantablack sul quadrante è come la polvere sulle ali delle farfalle». Da maneggiare con decisione e delicatezza, il modo in cui Martina affronta tutti i giorni il proprio lavoro.

I miti di H. Moser & Cie. al polso

La visita in manifattura Moser continua con tante belle storie e tante belle professionalità tra i laboratori del primo piano. Peccato solo che nella sede di Neuhausen am Rheinfall non si producono i meravigliosi quadranti fumé che sono il Dna del brand. Li realizza un quadrantista esterno che, purtroppo, non abbiamo potuto visitare. Però il management di Moser ha saputo compensare alla grande. Dopo il tour negli atelier del primo piano, sono tornato al piano terra dove ho potuto provare più di un capolavoro.

Streamliner Flyback ChronographStreamliner Tourbillon. Pioneer Centre Seconds, Pioneer Cylindrical Tourbillon Skeleton, Pioneer Tourbillon. Heritage Dual Time, Endeavour Centre Seconds Concept Lime Green. Solo per citarne alcuni. Sono tutti atterrati sul mio polso, l’uno dopo l’altro. E mi sono sentito come un bambino in un negozio di giocattoli.

Senza contare, poi, che ho potuto mettere le mani sulla valigia delle meraviglie. All’interno, gli orologi più emblematici del marchio, i pezzi unici e quelli più irriverenti. Swiss Alp Watch, Swiss Mad Watch (con la cassa di formaggio), Swiss Icons Watch (il Frankenstein del SIHH 2018 che tanto ha fatto parlare), Endeavour Cylindrical Tourbillon con MB&F. E ancora Swiss Alp Watch Final Upgrade, Endeavour Concept, Venturer Concept Vantablack, Endeavour Centre Seconds x seconde/seconde/. Per finire con l’Endeavour Perpetual Calendar Tutorial, l’Endeavour Centre Seconds Genesis e il Nature Watch, con tanto di erba ormai rinsecchita.

Finire dove tutto è iniziato

Insomma, il modo migliore per concludere la visita nella manifattura Moser. Una due giorni iniziata con un tuffo nella storia, visitando la dimora storica di Heinrich Moser, la tenuta di Charlottenfels. Oggi è un museo che ripercorre l’avventura umana e imprenditoriale di quell’orologiaio visionario che, partito da questo angolo di Svizzera, a metà dell’800 andò alla conquista del mercato russo diventando il preferito degli zar.

Tornato in patria, diede un impulso fortissimo all’industrializzazione della città di Schaffhausen, sfruttando il potenziale del Reno e della sua corrente per produrre quell’energia indispensabile allo sviluppo produttivo delle aziende. Se vi capita, fatelo un giro a Charlottenfels: ne vale la pena, anche solo per conoscere la curatrice del museo, Mandy, e condividere il suo entusiasmo, la sua passione, la sua simpatia.

Così come è d’obbligo una tappa alle celebri cascate del Reno, visitate ogni anno da centinaia di migliaia di turisti. Da lì, da quell’acqua e da quella potenza della natura, ha origine la storia industriale del territorio, plasmata da Heinrich Moser. E da quella storia discende l’avventura moderna di H. Moser & Cie., capace di portare nel XXI secolo un sogno di eccellenza nato quasi due secoli fa. Con quell’attenzione e quel savoir-faire che ne giustificano in pieno il pay-off: “Very Rare” si nasce, non si diventa. Prendetevi mezza giornata per una visita da Moser e capirete il perché.