È incredibile. Mi occupo di orologi da quasi trent’anni, eppure mi stupisco ancora ogni volta che vedo la trasformazione di qualche esemplare. Come nel caso del Patek Philippe 5370R, presentato a Watches and Wonders Geneva la scorsa primavera. Che non è affatto una novità – è uscito una prima volta nel 2015 e poi ancora nel 2020 – ma lo sembra proprio, tanto importante è il ruolo dell’estetica… Mi spiego meglio.
Il nuovo habillage del Patek Philippe 5370R
Il Patek Philippe 5370R ha seguito il percorso codificato dalle consuetudini dell’orologeria elvetica. Quindi è apparso prima con la cassa in platino, in assoluto il metallo più prezioso, e poi in oro, per ora nella tonalità più calda del rosa. In futuro chissà: sarà probabile vederlo in oro giallo, difficile in oro bianco, praticamente impossibile in acciaio. Perché si tratta di una Grande Complicazione, che la Manifattura ginevrina per tradizione non declina mai nel metallo più comune… .
Le due versioni del passato, dicevo, avevano entrambe la cassa in platino e si differenziavano per il colore del quadrante in smalto Grand Feu: dapprima nero, poi blu. Risultato: un look estremamente sobrio e formale, certo elegantissimo, ma – a guardarlo col senno di poi – forse un po’ freddo, proprio per lo splendore algido del metallo e per il rigore della monocromia. Ora invece non solo ha la cassa in oro rosa – lega dai toni più ricchi e solari – ma ha anche il quadrante bicolore: sempre in smalto Grand Feu, ma giocato nei toni del panna e del cioccolato.
Sfumature complementari, che trasmettono sensazioni di chic rilassato e insieme di saldo, potente vigore. Sono certa di non aver mai visto prima un cronografo Patek bicolore, almeno non fra i modelli di produzione contemporanea (se l’effetto è questo, mi auguro che non sarà l’unico). Però ciò che mi ha colpito a Ginevra è stata la consapevolezza di trovarmi davanti a qualcosa di assolutamente nuovo, ma allo stesso tempo inconfondibilmente Patek. Non so se rendo l’idea, è difficile da spiegare. Un senso di modernità ma ugualmente rassicurante. Qualcosa di inedito, ma nato già come “grande classico”.
Lo smalto Grand Feu
Ora, il fascino sprigionato dal Patek Philippe 5370R deriva proprio dallo smalto Grand feu del quadrante, me ne rendo conto. Un quadrante realizzato a partire da un disco d’oro, naturalmente. Ma dalla realizzazione complessa, perché è suddiviso in quattro parti: l’anello perimetrale in smalto champlevé, lo sfondo del display, i due contatori per i secondi continui e i minuti crono. Il che significa che ciascun elemento è stato dipinto a mano, ha subito le numerose fasi di lavorazione richieste dallo smalto, e poi assemblato. Fino a comporre l’armonia racchiusa all’interno della cassa.
Non mi stancherò mai di ripetere le difficoltà implicite nella tecnica dello smalto. I tanti passaggi necessari fra preparazione, trattamento, cottura in forno, ciascuno eseguito più volte prima di arrivare alla finitura finale. E le ripetizioni che amplificano i rischi, li sommano in modo esponenziale. Perché non sai mai come lo smalto reagirà alla temperatura, se ne uscirà integro o si gonfierà, si fessurerà, se il colore sarà quello desiderato… Incognite che si ripetono ancora e ancora per ogni singolo componente. Vita dura quella del maestro smaltatore, che a un certo punto può essere costretto a buttar via ore di lavoro e dover ripartire da capo.
Il cronografo rattrapante. O meglio sdoppiante
Alle difficoltà insite nell’habillage però vanno aggiunte quelle della meccanica. Il cronografo à rattrapante, per definizione, è un orologio complicato – difficile da progettare e da realizzare. Perché in pratica è un doppio cronografo – non a caso i tedeschi lo chiamano doppelchronograph -, che permette di misurare eventi che iniziano simultanteamente e finiscono in momenti diversi. Per esempio, i tempi intermedi di una gara su circuito o il taglio del traguardo di diversi concorrenti. È dotato infatti di due lancette dei secondi cronografici che funzionano in sincrono ma, su richiesta, si possono separare per compiere misurazioni differenti. La lancetta centrale dei secondi crono cioè “si sdoppia“: ecco perché in italiano lo si definisce più correttamente “cronografo sdoppiante“.
Ve la faccio breve. Come in qualsiasi cronografo, premo il pulsante al 2 per far partire la misurazione. Se poi a un certo punto, quando voglio/quando serve, premo il pulsante al 3 coassiale alla corona di carica, una lancetta centrale dei secondi crono si ferma, e ti consente di prendere il tempo. L’altra, invece, continua regolarmente il proprio moto finché non la arresto, come sempre con il pulsante al 2. Infine, una pressione sul pulsante al 4 azzera come al solito tutte le lancette. Ovviamente posso ripetere la sequenza quante volte voglio, e quindi leggere i relativi risultati. Se infatti premo una seconda volta il pulsante sulla corona, la lancetta dei secondi sdoppianti si riallinea a quella che ha continuato a marciare. In francese del resto rattraper significa proprio recuperare, raggiungere, riprendere.
Va da sé che questa sequenza di operazioni, quando attivata, richiede il consumo di grandi quantità di energia, improvvise e non pianificabili. E la cosa va a influire in un sistema – il cronografo – energivoro (e poco preciso) già di suo. Di conseguenza il dispositivo sdoppiante pone anche problemi di gestione dell’energia, oltre a quelli costruttivi di leve, camme e molle, caratteristici della funzione stessa. Ora, io qui semplifico al massimo il discorso, per questioni di spazio. Ma se andate a rileggere quello che aveva scritto Augusto Veroni a proposito del 5370P con quadrante blu, potrete capire maggiormente la complessità della situazione. E vi chiarirete un po’ le idee.
Il movimento del Patek Philippe 5370R
Devo dire che la Maison padroneggia perfettamente la complicazione. Ha firmato il suo primo cronografo à rattrapante da polso nel lontanissimo 1920, quindi ha alle spalle un secolo di esperienza al riguardo. Che ha concentrato proprio nel calibro CHR 29-535 PS montato all’interno del Patek Philippe 5370R, un movimento concepito e fabbricato “in casa”. Presentato nel 2015, è lo sviluppo dell’omonimo calibro cronografico “semplice” lanciato nel 2009, cui appunto è stata aggiunta la funzione sdoppiante dotata di una serie di migliorie. Ed è un movimento cronografico à rattrapante definito “a due tempi”, per distinguerlo dal cronografo monopulsante à rattrapante “a tre tempi”. In quest’ultimo le tre funzioni del cronografo si attivano con il pulsante e integrato nella corona e con l’apposito pulsante per la funzione sdoppiante.
Per saperne di più sono andata a recuperare i documenti ufficiali divulgati da Patek nel 2015, in cui era descritto come “un connubio di tradizione e innovazione”. Qui sotto vi riporto qualche stralcio, così da farvi conoscere le innovazioni (brevettate) e le ottimizzazioni: “Il collegamento con il passato lo si legge nell’architettura di base con carica manuale, comando con ruote a colonne e innesto orizzontale a ruote, che per numerosi appassionati di meccanica orologiera rimane il nec plus ultra del cronografo”. I meno tecnici dei nostri lettori, cui non interessano i dettagli costruttivi, possono saltare il prossimo paragrafo e passare direttamente all’ultimo. Le righe che seguono sono riprese pari pari dalla cartella stampa.
Informazioni tecniche
- Le ruote d’innesto sono dotate di profili brevettati dei denti che aumentano il rendimento nella trasmissione dell’energia e riducono l’usura.
- La regolazione della penetrazione tra le ruote d’innesto non viene effettuata, come di consueto, mediante un eccentrico posto a fianco della bascula d’innesto, bensì, molto più precisamente e semplicemente, grazie a un grande “cappello eccentrico” posizionato sopra la ruota a colonne all’estremità della bascula d’innesto.
- I martelli di azzeramento autoregolanti, che ruotano “tra rubini”, riducono il bisogno di manutenzione.
- La leva di blocco (per arrestare il mobile del cronografo) è direttamente sincronizzata con la bascula d’innesto.
- La camma del contatore dei minuti è traforata in modo da ammortizzare gli urti durante l’operazione di azzeramento, invece di bloccare bruscamente la lancetta del cronografo e la lancetta sdoppiante.
Le novità a livello del meccanismo sono accompagnate da innovazioni che riguardano esclusivamente la funzione sdoppiante:
- Un isolatore innovativo per la leva della rattrapante separa il mobile della rattrapante da quello del cronografo, quando la lancetta sdoppiante viene fermata per indicare un tempo intermedio. E ciò evita inutili frizioni e non incide sull’ampiezza del bilanciere quando la lancetta sdoppiante è ferma.
- La leva della rattrapante con rullo tra due superfici piane garantisce il posizionamento perfetto delle lancette del cronografo e della rattrapante quando queste si trovano sovrapposte.
Conclusioni
Concludo come d’abitudine con alcune informazioni pratiche. Il Patek Philippe 5370R è andato a sostituire le precedenti versioni in platino, ormai fuori catalogo. Non è in tiratura limitata, ma in produzione limitata, nel senso che la quantità è naturalmente circoscritta dalle capacità pratiche di produzione. Costa 291.057 euro, più o meno quanto un appartamento di un certo tipo. Un prezzo elevato, siamo tutti d’accordo, che solo pochi fortunati si possono permettere. Ma che andrà a rivalutarsi nel tempo, come tutti i complicati di Patek Philippe, questo è certo. Così come è sicuro che ad acquistarlo saranno quei collezionisti che non solo hanno le capacità economiche, ma soprattutto la cultura orologiera per comprenderlo.