Parlare con Guido Terreni non è mai banale. Il Ceo di Parmigiani Fleurier è uno dei pochi manager dell’orologeria con un’idea di prodotto che è anche, soprattutto, un’idea di futuro. Il suo è un approccio al mercato e all’industria indirizzato da una visione lucida e netta, riflessa nella chiarezza degli orologi che l’azienda ha cominciato a realizzare dal momento del suo arrivo, un paio di anni fa.
Una visione che non prescinde dai valori che Michel Parmigiani ha trasmesso a Terreni e che lui ha fatto propri con una rapidità e una facilità che non mi stupiscono, conoscendo la persona. Con lui, a Watches and Wonders, ho fatto una bella chiacchierata, piena di spunti preziosi che mi piace condividere con voi.
Michel Parmigiani ama dire che non bisogna pensare che in orologeria sia già stato inventato tutto. E allora, che cosa manca da inventare?
Tantissimo. Abbiamo progetti in cantiere fino al 2029 e quello di quest’anno è il Minute Rattrapante, una prima mondiale. La nostra filosofia è quella di pensare al futuro. Ciò che ho sempre fatto nella gestione dell’orologeria è utilizzare l’arte meccanica per creare qualcosa che sia proiettato in avanti. L’industria ha un po’ rallentato sotto questo aspetto, perché negli ultimi 20-30 anni abbiamo visto molti orologi che sono riedizioni di se stessi e questo per me non è interessante. Siamo forse l’unica categoria merceologica in cui nove prodotti su dieci non sono stati disegnati dalla nostra generazione. Certo, questo è anche un valore, perché poter dare a un prodotto un ciclo di vita praticamente infinito è affascinante, ma ogni pietra miliare del nostro settore al momento della sua uscita era di rottura, innovativa: non vedo perché non si possa continuare a fare questo.
Gli orologi Parmigiani sono capolavori di sottrazione. Togliere il più possibile per arrivare all’essenziale. Come ci riuscite?
È una mia fissazione. Io penso che il superfluo non serva a nulla. In un orologio come il Tonda PF – che è apparente semplicità, perché in realtà non è per nulla semplice – la bellezza di un disegno minimalista è stata la cosa più difficile da ottenere. Ma non è minimalismo brutale, come poteva essere un certo purismo del secolo scorso. La semplicità è una questione di misura e la misura è una questione di gusto. Esiste una componente emotiva e razionale nel design per la quale non c’è una ricetta ma solo sensibilità, la coerenza di ciò che stai facendo. Per essere interessante devi sapere quando fermarti nel momento in cui togli e sapere che cosa tenere.
Come il GMT Rattrapante dello scorso anno?
In quell’orologio abbiamo operato la rivisitazione di una funzione molto comune, senza seguire un libro già scritto ma partendo dal concetto di una funzione che quando non ti serve non c’è. Per ottenere questo risultato, in Parmigiani dovevamo non mettere delle cose che spesso in un GMT ci sono. Se vuoi avere l’esperienza di un orologio che quando non viaggi è un due lancette pulito ed elegante, non puoi avere funzioni superflue sul quadrante. Quindi le tolgo per puntare al bello e alla facilità d’uso. È una questione solo di equilibrio e gusto.
Tempo fa mi raccontasti di aver passato i primi mesi in Parmigiani a studiare. Che cosa hai imparato?
In realtà ho iniziato a studiare il marchio tre mesi prima di entrare in azienda e ho imparato un sacco di cose. Ho potuto respirare i valori di Michel grazie al solo fatto di averlo presente tra noi, anche se con un ruolo non operativo. Questi valori sono due, molto forti, e sono il fondamento della marca. Uno è un patrimonio culturale enorme. Michel Parmigiani è un’enciclopedia vivente, non solo di nozioni ma anche di capacità di gestire l’arte meccanica in tutte le fasi della sua storia. Un quadrante del ‘700 da restaurare necessita di tecniche diverse da uno del ‘900 e lui le padroneggia tutte. Ha una conoscenza di una profondità incredibile.
E il secondo?
Il secondo è legato al primo, è la non ostentazione. Chi restaura lavora sul lavoro di qualcun altro, per cui la sua mano deve sparire; significa che hai competenze e capacità enormi, però il tuo ego non deve essere visibile.
Understatement come quello dei vostri orologi. E dei vostri clienti.
Un cliente Parmigiani ama possedere un oggetto colto, raffinato, rifinito ai massimi livelli ma non ostentato. È un cliente discreto, perché il vero lusso non è mostrare il proprio potere d’acquisto ma avere la consapevolezza di ciò con cui ci si accompagna. Quindi è cultura del prodotto in generale, non solo dell’orologio. Un cliente educato al bello e alla capacità di goderne, non lo fa in piazza ma in privato. Questo è il nostro cliente, perché il vero lusso è dietro le quinte.
Questa filosofia vi aiuta anche in mercati dove invece l’ostentazione è un valore?
Fortuna vuole che questo tipo di persona è trasversale alle culture, anche in mercati nuovi come la Cina, dove ho avuto modo di incontrare collezionisti raffinatissimi, anche più formali di noi. Sono curiosi, cercano marchi meno conosciuti e lo fanno con competenza. Sono molto attratti dagli indipendenti e da chi ha uno stile che non è stravagante, ma che ha quella singolarità nella proposta che lo rende interessante.
Dove finisce il Ceo e dove inizia il creativo in Guido Terreni?
Per come intendo il ruolo del Ceo, io sono un direttore d’orchestra che però scrive anche la musica ogni tanto. Non posso però essere anche l’interprete, ho bisogno di persone che suonino a tempo, che interpretino le emozioni che cerchiamo di sviluppare. Tutto questo ha necessitato un periodo di focalizzazione su ciò che, come Parmigiani, avremmo voluto fare e avremmo voluto essere. Il credo di questa nuova direzione è stato difficile all’inizio, ma ora siamo allineati. Ormai penso che sia chiaro a tutti qual è il nostro messaggio in orologeria.
Che cosa ti manca da imparare ancora in Parmigiani?
Moltissime cose, perché è una storia appena iniziata, è il rinascimento di un marchio che deve durare nel tempo. Siamo stati tutti sorpresi, io per primo, dalla rapidità dell’apprezzamento verso di noi. Per il GMT Rattrappante dello scorso anno abbiamo sette volte la domanda rispetto a quello che abbiamo messo in produzione. La dimensione di questa domanda rispetto a ciò che immaginavamo un anno fa è frutto della creatività, del desiderio che c’è attorno alla marca. Il rovescio della medaglia è che si è creato questo desiderio e si è un po’ frustrati perché i clienti devono attendere il loro orologio per alcuni mesi.
Un problema comune a tanti marchi, purtroppo…
È un aspetto non facile da gestire, dobbiamo imparare a essere più vicini ai nostri clienti finali in attesa, far loro capire che cosa comporta, in termini di filiera e di investimenti industriali, dover accelerare la produzione. Mettere tutto in sincronia nella supply chain o nella produzione è molto complesso, è un lavoro di organizzazione produttiva che stiamo cercando di gestire nella maniera meno problematica possibile. Dobbiamo migliorare anche la capacità di dire esattamente a un cliente in attesa quando arriverà il suo orologio.
Non è che poi a forza di aspettare, certi clienti mollano il colpo?
Un’altra cosa che dobbiamo fare è proprio continuare a mantenere la desiderabilità nel lungo periodo. Non ci interessa avere triplicato il business in tre anni: è bello, ma è un punto di partenza, non di arrivo. E poi un cliente come il nostro va continuamente stimolato e interessato. L’asticella si alza ogni anno di più, creando prodotti che non si devono cannibalizzare. Ciò che ho fatto in passato deve rimanere interessante, in modo da dare un’offerta il cui contenuto orologiero continui a essere al cuore di quello che realizza Parmigiani, in una maniera molto fresca.
Un esempio di questa freschezza, Guido Terreni lo aveva raccontato qualche tempo fa direttamente ad Augusto Veroni, parlando del Tonda PF Automatic da 36 mm. Un orologio reinventato da Parmigiani in una dimensione di cassa che ne ha reso le proporzioni ancora più equilibrate, con un dettaglio prezioso. Sono i diamanti taglio baguette che costituiscono gli indici, nelle versioni Warm Grey e Deep Ruby, quest’ultima premiata al GPHG 2022 nella categoria Ladie’s Watch.
Una scelta e una lavorazione non banali, che Terreni spiegava così a Veroni: «La forma rettangolare riproduce lo stile degli indici della collezione e in base a questa disegniamo la baguette. Usare un diamante taglio baguette costa due volte e mezzo un diamante rotondo, ma non è il prezzo che conta. La baguette è giusta per quello stile, per quell’orologio. L’abbiamo chiamata “baguette misteriosa” perché abbiamo usato la tecnica del sertissage invisibile, con il quadrante che funge da binario. Dentro di esso viene fatta scorrere la baguette, tagliata apposta solo nella sua parte non visibile. Nessuno l’aveva fatto prima per gli indici, infatti c’è un brevetto che stiamo depositando. In questo tipo di affichage non è più la griffe che tiene la pietra ma è come se la pietra disegnasse l’indice, rispettando lo stile dell’orologio».
Se non è coerenza questa…