Quando il nuovo Omega Speedmaster Moonwatch con quadrante bianco è stato lanciato, ai primi di marzo, ha generato un effetto curioso in chi si è trovato a scriverne o a parlarne. Ossia, il focalizzarsi in maniera quasi maniacale ed esaustiva sul collegamento tra il colore del quadrante e quello delle tute spaziali che gli astronauti impiegano per le attività extraveicolari. Un parallelo suggerito dalla comunicazione di Omega a supporto della nuova referenza. Parallelo indubbiamente vero e significativo che ai più è parso come l’unico argomento figo su cui insistere, senza pensare a che cosa significa il bianco nella storia dello Speedmaster. Un parallelo così abusato dai media, che mi ha indotto ad aspettare un po’ prima di scrivere del cronografo.
È vero che al cronografo è associato, dalla maggior parte dei non addetti ai lavori, il quadrante nero. Perché lo Speedmaster è nato così e così è stato consacrato il Moonwatch dall’epopea delle missioni lunari della Nasa. Ma è altrettanto vero che i quadranti bianchi hanno un posto non di secondo piano nella storia dell’orologio. Referenze che sono diventate oggetti di culto per molti appassionati, che hanno una storia alle spalle spesso non meno interessante di quella del cronografo di nero vestito. Vale la pena soffermarcisi un attimo.
White is the new black
Il predecessore più illustre è forse il cosiddetto Moonwatch “Albino”, lanciato da Omega in occasione dei 40 anni dello Speedmaster, nel 1997. Prodotto in soli 500 pezzi e in esclusiva per il mercato italiano, aveva un quadrante bianco sporco, quasi un crema, che si differenziava da quello dell’orologio attuale.
Una referenza che vale la pena di ricordare anche per un altro paio di dettagli. Intanto perché era dotata di un doppio vetro zaffiro, uno sul quadrante (al posto dell’esalite) e uno sul fondello. Quest’ultimo consentiva la visione del calibro 1863 introdotto per la prima volta quell’anno. Così come per la prima volta, in quel 1997, fece la comparsa sullo Speedmaster il Super-LumiNova, seconda chicca dell’“Albino”.
La storia dello Speedmaster Moonwatch “tutto bianco” passa poi per il celebre Alaska Project, referenza ricercatissima del 2008 la cui storia parte però quasi quarant’anni prima. Dai prototipi sviluppati per la Nasa a fine anni ’60, con quadranti color argento/bianco. La funzione del colore non era estetica ma pratica: riflettere meglio la luce solare e il calore, particolarmente aggressivi al di fuori dell’atmosfera terrestre.
Caratteristiche di quel modello erano le due lancette del cronografo a forma di capsula spaziale. Anche in questo caso, non per bellezza ma per praticità: puntavano verso le tracce dei minuti e delle ore ed erano meglio leggibili in condizioni difficili, a causa delle vibrazioni a bordo delle navicelle spaziali. La loro forma avrebbe caratterizzato i modelli successivi degli anni ’70, arrivando fino alla referenza del 2008 (e al Moonswatch Misson To Mars).
L’ultimo Speedmaster Moonwatch tutto bianco che voglio ricordare è l’Apollo 13 Silver Snoopy Award presentato a Baselworld 2015 per celebrare i 45 anni della pericolosa missione. Un’altra edizione limitata, stavolta di 1.970 pezzi, con calibro Omega 1861, quadrante bianco con scritte e lancette nere.
Il bello dello Speedmaster Moonwatch bianco? Il quadrante
Lo Speedmaster Moonwatch è uscito anche con versioni panda, come una delle referenze dedicate alle Olimpiadi di Tokyo 2020, o come l’ultimo Silver Snoopy Award del 2020, con i contatori blu. Ma andrei troppo per le lunghe se ne scrivessi, per cui eccoci all’ultimo bianco della serie. Che, mi sbilancio subito, trovo davvero bello. Come sempre, cercherò di farvi capire perché il mio apprezzamento è motivato e non è solo una sensazione a pelle.
E per questo vi dico che la bellezza dell’orologio sta proprio nel quadrante. O meglio, nella sua laccatura. Non si tratta infatti di un bianco piatto, ma di un colore che, grazie proprio alla finitura laccata, impreziosisce l’estetica dell’orologio. L’effetto è quasi quello della porcellana Arita giapponese o dello smalto Grand Feu che tanto è apprezzato nell’alta orologeria svizzera. E il bello è, a mio avviso, che un risultato così è ottenuto con processi industriali e non “artigianali”.
È un concetto che ho già espresso parlando del Bulova Marine Star: guai a demonizzare le lavorazioni industriali, se queste portano dei risultati di alto livello. E nel caso del quadrante di questo Speedmaster Moonwatch, il livello c’è. Specialmente perché la laccatura dà all’orologio una luminosità uniforme che ha il pregio di accentuare il design cosiddetto “step” del quadrante, smussandone e ammorbidendone contemporaneamente le finiture.
Ricordo che il design “step” individua i diversi livelli di profondità che, sul quadrante, hanno l’anello della minuteria, la parte centrale e i contatori cronografici. Profondità differenti unite tra loro proprio dai gradini (step) del design, che in questo orologio sono smussati, morbidi e omogenei all’intera estetica dell’orologio. Una sensazione che diventa certezza se si osserva il quadrante lateralmente. Gli indici neri delle ore, applicati, spiccano in modo forte insieme alla punta rossa della lancetta dei secondi cronografici, contrastando la morbidezza dell’insieme.
Meccanica e design
Per strizzare ancora di più l’occhio ai collezionisti, Omega ha messo sulla lunetta tachimetrica il celebre “Dot over 90”. Detto che la lunetta nera è in alluminio anodizzato, ricordo l’importanza del dettaglio del “Dot over 90”. Indica infatti il posizionamento del puntino indicatore al di sopra del numero 90 sulla lunetta stessa e non al fianco di esso. Non è banale, perché questa posizione è tipica degli Speedmaster Moonwatch prodotti prima del 1970. Che oggi, ça va sans dire, sono le referenze di gran lunga più ricercate.
Per il bracciale e i cinturini, Omega ha fatto le cose in grande con tre opzioni. Naturalmente è presente il classico bracciale del Moonwatch, d’ispirazione vintage, a cinque file e con le maglie incurvate, che alternano finiture lucide e satinate. Per chi preferisce sentirsi il polso più leggero, sono disponibili anche un cinturino racing in pelle nera micro-traforata con impunture bianche o uno in caucciù con trattamento antibatterico. Bello il dettaglio che lo caratterizza: la parte interna è decorata con un motivo in rilievo che riproduce la superficie lunare.
Poco da dire sul movimento. O meglio, ci sarebbe tanto da dire, ma il calibro manuale Co-Axial Master Chronometer 3861 che lavora nella cassa è piuttosto noto. Realizzato nel 2019, dopo quattro anni di sviluppo, introduce rispetto ai predecessori alcune migliorie: come l’autonomia di 50 ore, la resistenza ai campi magnetici fino a 15.000 gauss, lo scappamento Co-Axial e la spirale del bilanciere in silicio.
Come dice il nome, è certificato Master Chronometer e approvato dal Metas, l’ufficio di metrologia della Confederazione svizzera. Che cosa significhi questo in termini di precisione, lo potete leggere qui. Di certo, Omega sottopone ogni singolo Moonwatch a otto rigorosi test prima di fargli lasciare la Manifattura per essere supervisionato dall’Istituto elvetico di metrologia.
Lo Speedmaster Moonwatch che parla al cuore
Che dire quindi in più? Ah, certo. Che se volete acquistare questo orologio, lasciate perdere l’e-commerce ufficiale Omega. Al momento, per quanto ci è stato comunicato dalle nostre fonti, lo Speedmaster Moonwatch bianco è disponibile solo nelle boutique monomarca – a fronte, dicono, di una breve lista d’attesa, e con un prezzo che va da 8.700 a 9.100 euro -, mentre per la reperibilità sull’e-commerce e nei concessionari autorizzati ancora non ci sono notizie precise.
Chiaro segnale del fatto che Omega ci ha preso, creando quella desiderabilità intorno all’oggetto che è croce e delizia per i brand. L’orologio piace, è fuori di dubbio. Piace perché ha meccanica, perché ha estetica e perché, lo abbiamo visto, ha qualcosa che va al di là delle tute spaziali. Di fronte a orologi come questo, la sostanza riesce a parlare al cuore di più e meglio di quanto non sappia fare il marketing. Pensateci.